domenica 9 marzo 2008

Qualcuno con cui correre (-lettera allo specchio-)

"Non pretendo più di aver ragione
se parlo di vestiti e di carezze
le braccia lungo i fianchi farò cadere
pregare no, che non vorrei pregare
pregare no, che non vorrei pregare"


Caro Pinko,
oggi cercavo una figura maschile a cui scrivere una lettera, e mi sono divertita a pensare di mandarla a te, visto che noi due abbiamo sempre parlato e non ci vediamo da diverso tempo.
Ti penso sotto al tuo albero, quando sogno di casa mia, con i tuoi occhi buoni e quell’invadenza da giocherellone. Scrivo a te con parole mute, che non usciranno di qui, che non sapresti leggere. Per dirti di me, per chiederti scusa, perché sei passato anche tu nei miei anni e sei andato via. Per nessuna ragione precisa, come vedi, ma questo non ti importerà: fa’ come se ti stessi parlando, tieni la testa sulle mie gambe, lasciati accarezzare e addormentati pure... io non me la prendo!
Ti sembrerà strano, Pinko, ma ho sentito tante volte la tua mancanza, non credere che ora non pensi a te solo perché le mie attenzioni erano così rare. Quando ti slacciavo il collare, combattendo con gli scossoni del tuo scodinzolare, immediatamente ti davi ad una corsa sfrenata, a perdifiato per i campi. Esploravi, annusavi, abbaiavi per l’eccitazione e ti si perdeva lo sguardo per quanto ancora c’era da scoprire. Amavo vederti correre così, era quasi liberare qualcosa anche di me, sentire che ti stavo regalando delle ore bellissime sapendo che poi, sempre, saresti tornato. Assetato, affamato, sporco, stanco, pieno di gratitudine. Se fossi stata più grande, Pinko, se avessi saputo...
Se avessi saputo quanto so ora, avrei capito che quella corsa impetuosa valeva più di tutto il resto, dei piccoli divieti e delle tue impronte sul pavimento. E ti avrei lasciato correre. Se avessi saputo quando so ora, mi sarei lanciata con te ridendo, e senza limitazioni, avremmo giocato! Sì, ho sbagliato, come in tanti altri casi, perché non ero matura abbastanza e troppe cose mi sfuggivano. Ho fatto errori a iosa, e lo sai, mi brucia ammetterlo; ma credo che capire di averli commessi sia già sintomo di un miglioramento che, con dolore o di nascosto, lentamente avviene. O forse, dovrei dire di un cambiamento: migliorare con gli anni è proprio del vino e non sono sicura di poter dire lo stesso di me e del mio carattere.
Sono stata spesso, negli ultimi tempi, quanto non ho mai amato. Se ricordi un po’ la bambina che ero, avrai presente quella piccola combattente convinta di saper affrontare ogni imprevisto, poter sollevare ogni peso, arrivare correndo ovunque desiderasse. Contavo molto su di me e sulla mia impenetrabilità, sul controllo che esercitavo in ogni situazione: pensavo che mi avrebbe portato a fare scelte giuste, come succede nei film, come Lady Oscar. Credo invece di aver paura della fragilità che mi riconosco ultimamente. Vorrei ricostruire il mio bel muro di cinta, sentirmi superiore ad ogni debolezza e andare per la mia strada, come se nulla fosse. Ma non è così semplice. Nel momento in cui mi sono detta che tutto era cambiato, che volevo cambiare anch’io, il mondo ha fatto retromarcia; ed ora sono quella che il sabato mattina resta nel letto fino a mezzogiorno. Dopo dieci ore di sonno, capisci bene, è un rifugio da vigliacchi, come una sigaretta. Non credevo che il tempo potesse portarmi tanto lontano da ciò che volevo essere, ora avrò bisogno di altro tempo per recuperare, ma sarebbe opportuno che mi dessi una mossa perché non mi aspetta nessuno.
Li riconosci? I miei pugni chiusi sul muretto. Non farei male a una mosca, anche se anni fa i maschi mi temevano perché sapevo fare a botte. Forse mi hai anche vista qualche volta, mi hai vista che cadevo e non dicevo niente, che mi vergognavo, che mi incazzavo con tutto. Mi vedi adesso: negli occhi, le stesse rigidità e morbidezze, le fissazioni, le mie esagerazioni. Me lo chiedo e me lo chiedono, “Perché devi sempre esagerare?”, ma io non ne ho idea. Mi piacerebbe trovare un equilibrio che non sia messo in discussione, non a tempo indeterminato, questo no, ma almeno un poco. Mi piacerebbe non girare così tanto attorno a pensieri semplici fino a renderli distruttivi, poi sono esausta e stufa e insofferente. E ciò di cui ho paura accade sempre, precipitevolissimevolmente.
E’ capitato in altri casi che fossi stanca di una condizione, te ne ricordi, e per scuotermi pensavo che bastasse trasformare in pochi gesti e pochi giorni un’immagine di me diventata polverosa. Adesso mi sono tagliata i capelli, per nausea della mia faccia, e seppure mi sento più a mio agio il corso delle cose prosegue identico a prima. Cosa c’era da aspettarsi, Pinko? I miracoli sono persone e non accadono mai troppo spesso.
Vorrei che mi arrivasse qualcosa di buono. Niente di bello, di nobile, di sorprendente, ma un qualunque evento spoglio, che abbia la consistenza e l’accoglienza del pane caldo, la tangibilità, la solidità. Vorrei del buono, nulla più. Alla fine, come recita il buon Salinas nella poesia che sappiamo bene, “io non sono che quello che sono”.
Ho mal di testa dal tanto piangere, Pinko, ma non voglio più scriverti niente di triste. E l’unico modo per riuscirci, tu non me ne vorrai, è smettere di scrivere.

Ancora una carezza amico mio, corri quanto desideri, non farti frenare da nulla. Ciao piccolo!


"Sarà il destino che splende e poi riscende
tutto questo rumore che si sente
acqua libera che sempre si spande..."

domenica 2 marzo 2008

Dedicato

"A chi ha cercato la maniera
e non l'ha trovata mai
alla faccia che ho stasera
dedicato a chi ha paura
e a chi sta nei guai..."


A quelli che si presentano con mezzora di ritardo agli appuntamenti, a quelli che “veramente non lo so, può darsi”, a chi ha fatto le volte di questa casa così alte. Alle lettere mai scritte, a quelle che avrebbero fatto meglio a restare nei cassetti, a quelle che invece dovevano partire. Ai collant troppo piccoli, ai maglioni che non hanno la XS, a tutta la roba che non faccio che mettere a posto per poi ritrovarla sparsa per la stanza. Agli ultimi tre mesi e mezzo che non sono ancora finiti. A quelli che ti urtano per strada senza mai chiedere scusa, come se non ti vedessero; alle biciclette che ti tagliano il percorso, al bar che ha aumentato il prezzo delle brioche, ai tacchi alti e alle scarpe strette. Ai termosifoni spenti, alle parole cattive e immeritate che sono e saranno dette, alla volontà e all’emozione che distorce le cose e impedisce di vedere. Al pavimento della cucina, che ci si mette un’ora per lavarlo ogni volta e non sembra mai pulito. Al nervosismo da sindrome premestruale. A tutte le volte che ho camminato per strada a testa bassa, alla nebbia che mi è penetrata nei vestiti, nei capelli e nei pensieri, ad ogni singolo momento in cui ho pensato che non valevo niente, che non volevo dare niente a nessuno, che non dovevo alcuna spiegazione. All’odore di candeggina sulle mani, ai messaggi senza risposta, al colore rosa antico e alla pasta che non si cuoce. A coloro che sono convinti di possedere la verità sulla vita e sull’amore, poiché non gli si darà mai torto, ma a volte si avrebbe un moto orgoglioso di rivolta. E si farebbe bene, a volte. Al silenzio che non posso gridare. A tutti i paletti che mi sono sempre stati imposti. Agli occhi gonfi, alle pretese, al mio letto nuovo che non arriva, a quello vecchio troppo scomodo.
E soprattutto: al mio stramaledetto ininterrotto pensare.
A tutto questo, il mio più cordiale e sincero VAFFANCULO.

"Ai miei pensieri
a com'ero ieri
e anche per me"