domenica 29 giugno 2008

Saturday night's fever

Lo sai anche tu che ci ho pensato. Ho continuato a pensarci per un’ora o due, masticando ogni informazione, girandoci intorno, guardandomela bene. Una cosa così improvvisa.
Ci ho pensato – assurdo – con una specie di tristezza preventiva, di chi sa già come finisce la serata. In fondo la stavo aspettando, come te, potevo quasi vederla spuntare dietro l’angolo, col suo volto così familiare. Aspettavo la gelosia come si aspetta una vecchia amica, pronta a stringerle la mano e intavolare nuove conversazioni con lei, preparata alle sue domande insistenti, alla sua invadenza e a qualche lacrima. E’ fatta così, lei, cocciuta e maliziosa, abile a intrufolarsi nelle pieghe più sottili. Tanto tempo siamo state insieme che abbiamo stilato i nostri accordi segreti, e così io attendevo che si presentasse, puntuale come sempre, a riscuotere il suo piccolo tributo. E mi riascoltavo le frasi e me le torturavo. Una cosa così improvvisa. Così caldo sulle guance, e già tardi sull’orologio. Alla sua ora preferita, giacché io la conosco, ho fatto in modo di accoglierla sveglia. Pronta, sorridente.
Ma lei non è arrivata.
E allora qualcosa è cambiato davvero.


PS: Non è che adesso non si ripresenti più, è tanto cortese, non farà finta di non conoscermi. Anzi, educata com'è, è già passata per un saluto... un gesto col braccio, da lontano, solo per avvisarmi che ha cambiato residenza!


"Quando me chamou, eu vim
quando dei por mim, tava aqui
quando lhe achei, me perdi
quando vi você, me apaixonei..."

sabato 21 giugno 2008

Senza parole

Ho bruciato quei fogli per impedirmi di rileggerli. Li ho bruciati per non continuare a stringere in mano i miei errori. Ho bruciato quei fogli perché nulla di ciò che contenevano si è rivelato vero, ed ho cercato di placare l’ennesimo rigurgito di tristezza guardando con gli occhi cinici quel piccolo falò consumarsi sul davanzale della finestra. Capita spesso che mi accorga di quante cose avevo pronte, o avrei potuto fare prima.
È la terza volta che provo a scriverti, la terza che mi rendo conto di non sapere cosa dirti. Di non poterti dire. Mi ero ripromessa che sarebbe stato diverso. Io che ci provo ancora a ripromettermi, e so tacere adesso, e so quanto possano essere vane e dannose le parole, rovinare tutto. Esercito la mia prudenza col silenzio, tornando contro i miei propositi ad inghiottirle e distruggerle a poco a poco, pezzo a pezzo, le parole, finché l’impulso irrefrenabile di dirtele non svanisce del tutto. Quanto allenamento e quanta pena per imparare a fare a meno di ciò in cui credo di più... E tu forse dovresti sapere. Forse mi perdoneresti, magari non avresti fastidio. Ma per rispetto, tuo e di me stessa, per paura delle nostre distanze, per quei pochi mattoni che ho posato grazie a te sulle rovine che prima stavo immobile a guardare, non ti dico nulla. Il fumo ha un odore acre che mi aiuta a schiarire la gola, chiudere il telefono, gli occhi, le mani, ed evitarti le mie parole.
Riposa e passa un buon pomeriggio.

martedì 17 giugno 2008

Collezione (-it's not easy-)

La carta ce l’ho, la voglia mi manca.
I lacci alle scarpe ce li ho, la pazienza mi manca.
La polvere sotto il letto ce l’ho, un rifugio mi manca.
La coperta ce l’ho, il calore mi manca.
Un rifiuto ce l’ho, le briglie mi mancano.
I colori ce li ho, la fantasia mi manca.


Siamo a metà giugno, ma vago ancora per casa in pantaloni e maniche lunghe: fuori fa un freddo invernale e quanto agli esami, siamo a meno due ma la stanchezza è già arrivata. Diverse cose, in questi giorni, mi parlano di casa. Un incontro casuale con un ragno che tenta la scalata dello specchio del bagno, uno di quei ragni con gli arti lunghissimi e sottili, con cui sono abituata a convivere nel seminterrato. E la signora Fletcher ogni mattina, se non fosse che al posto del divano del soggiorno la guardo su una sedia di legno, con i suoi occhi rotondi e la sua voce rilassante. Mi sono accusata spesso della mia mancata nostalgia in questi mesi, ma forse ho solo imparato a gestirla. Ho due vite adesso, come tutti, ed una è qui in mezzo al temporale e alla grandine, nel quarto d’ora di strada tra questa stanza e la facoltà. Non voglio rinnegare nulla di questa né di quella, ma posso esserci solo in una per volta. E non è vero che non voglio tornare.
Ho paura di casa mia per la differenza palese tra una stanza coi miei ritmi e 200 metriquadri con un proprio orologio, ma non è detto che non mi ci adatti nel modo più naturale. Ho molta più paura della distanza tra casa mia e qui, per tutti i posti in cui posso arrivare più facilmente per trovare ciò di cui ho bisogno. Ma non è detto che effettivamente, senza un invito, da qui io possa arrivarci. Torno a casa i primi di luglio, armi bagagli e non so quante altre borse, da lì vedo se è possibile reggere con sole due mani le fila di due persone, e nel frattempo leggere qualche saggio sul libro Cuore per la tesina di settembre.
Non è vero che non voglio tornare, ma prima vorrei partire ancora, ininterrottamente, e penso a tanti posti o forse ad uno solo. Penso a molte persone o forse ad una sola. Quanti treni avrei voluto prendere, quanto mi è stato impedito, quanto è stato inutile o consolatorio, in questi mesi di tristezza distillata. Quanti i giorni passati senza significato. Eppure quante cartoline e quanta vivacità colorano le pareti di questa stanza, vieni a vederla? Lo lasci solo a me, il risultato di tanto impegno? Puoi riempirlo di una risata, e farmi dimenticare il dolore? Vuoi?
Non è vero che non voglio tornare: nessun dubbio al mondo che dopo gli ultimi sforzi di concentrazione, qualunque sia il loro frutto, riempirò quei 668 km, e sarò di nuovo a casa.

Le cicatrici ce le ho, il fisico mi manca.
La pioggia ce l’ho, il mare mi manca.
La bicicletta ce l’ho, il compagno di viaggio mi manca.
I lividi ce li ho. La dolcezza mi manca.



"I can't stand to fly
I'm not that naive
I'm just out to find
The better part of me

I'm more than a bird
I'm more than a plane
More than some pretty face beside a train
and it's not easy to be me"

martedì 10 giugno 2008

Souvenir (ovvero... RESOCONT!)

Sono le otto e trentatré, la sveglia del cellulare squilla puntuale. In realtà ho aperto gli occhi già mezzora fa, così chiedo a Silvia se ha dormito bene come me, che per una volta non ho sognato. Prendiamo un treno stamattina, ma non sappiamo ancora quale, visto che anziché aiutarla ad alzarsi preferisco anch’io restare ancora un po’. Si sta così bene, mica ci vuole tanto.
Incredibile ma vero, anche se siamo uscite dal letto alle nove e mezza riusciamo ad essere sul binario alle 10.02, dopo un paio di curve su due ruote e un mega parcheggio in retromarcia, un biglietto al volo ed una corsa per il sottopassaggio: via sull’intercity, destinazione Piazza Principe! Tra un cruciverba e l’altro, le mamme si affrettano a dispensare le previsioni per la giornata: “Vedrai che oggi a Genova ci sarà il sole” (mamma di Silvia, per gli amici CP); “Oggi lì al nord è previsto un tempo catastrofico!” (mia madre, per gli amici gatto nero). Manco a dirlo, ci becchiamo il diluvio universale per quasi tutto il pomeriggio, mentre tentiamo di scansare le pozzanghere e di non perdere gli ombrelli per strada, quando non siamo impegnate a “cavalcare leoni di pietra” (cit. Fiorella)! Nella galleria di negozi sotto ai pesci, mi trattengo a malapena dal comprare una fantastica rete da pesca ornamentale, un telefono peloso fucsia e una maglia con su scritto battitene u belin, e così si va, parlando ininterrottamente. Silvia ha i polsi piccoli e gli occhi grandi, molti gatti, molte timidezze; ha un ciuffo di capelli sulla fronte e tutta quella pazienza, con me e col suo ginocchio sifulo. Silvia è stata in tanti posti, sa due parole in ogni lingua ed ha conosciuto gente che ha avuto mille cose, ha delle passioni che non diresti mai, e delle debolezze che mai le scopriresti. Le manca l’ultimo libro della Cornwell. Qualche altro affetto che non so come procurarle. Silvia tra una giornata di lavoro e l’altra mi ha comprato dei pasticcini, e se io servissi a qualcosa mi saprei sdebitare.
Genova, pur con tutti i negozi chiusi e il suo tempo inospitale, è sempre la mia preferita: camminiamo senza una meta e senza un pensiero, per me rivederla con qualcuno accanto ne raddoppia l’intensità. Silvia la conosce già, ma che importa? E’ la mia città che sta guardando, non quella in cui è già stata. Cerchiamo di catturare l’unico raggio di sole su una panchina, scappiamo poi dall’ondeggiare della chiatta, e non ci si crede a come va via un pomeriggio. Le mie dita piccole che sono utili a intrufolarsi nelle fessure del pavimento, le sue poco più lunghe che reggono un sacchetto di plastica per togliermi qualche peso. Ci sarebbero ancora due vite da raccontare, si potrebbe fare un giro sull’autoscontro, o sparare alle lattine col fucile ad aria compressa... ma siamo di nuovo sedute alla stazione, e vorrei solo chiederle di restare. Oggi che era ieri, tutto sembra già irreale.
Mi sono ritrovata sul treno del ritorno senza essermene accorta, stordita perché non ho ancora realizzato di aver trovato una persona da poter abbracciare, con cui ridere tantissimo e passare un sacco di tempo in una libreria. Una persona nuova, gentile, così rara. Che non sa molte cose di me, di cui non conosco molte cose a mia volta, a cui non posso spiegare come mi sento. E che alla fine di due giorni come questi mi lascia un sapore dolceamaro di sorpresa.
E adesso, ci si rivede presto, Silvia? Non lo so, prudenzialmente mi sono fatta un infinito pianto in treno. Non lo so, se i momenti così belli hanno il potere di ripetersi. Non mi è successo mai. Ma come un’ingenua, come la piccola sciocca che sono, con le ultime due lacrime, io lo spero tanto.
… sper!


"Ma ogni volta che vedo il mare
sono abbagliata mi devo fermare,
non capisco e mi metto a pensare
a chi di notte non riesco a vedere
Ed ogni volta che vedo il mare
è impossibile bluffare
con questo straccio d'anima dentro
è molto strano che io sia contenta adesso
Ogni volta che vedo il mare..."