venerdì 26 dicembre 2008

Pensieri in gocce

"Conosco un posto nel mio cuore
dove tira sempre il vento
per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento
non c'è niente da capire, basta sedersi ed ascoltare
Perché ho scritto una canzone per ogni pentimento
e devo stare attento a non cadere nel vino
o finir dentro ai tuoi occhi, se mi vieni più vicino

La notte ha il suo profumo e puoi cascarci dentro
che non ti vede nessuno
ma per uno come me, poveretto, che voleva
prenderti per mano e cascare dentro un letto
che pena... che nostalgia
non guardarti negli occhi e dirti un'altra bugia
Ah, almeno non ti avessi incontrato
io che qui sto morendo e tu che mangi il gelato"




Il tempo di Forlì è inospitale. È ostinatamente nuvoloso, e se accoglie qualcuno con un po’ di luce l’illusione dura poco. Piove per giorni interi e non ci si asciuga mai del tutto, anche se alla fine ci si abitua e si vedono persino i colori. Anch’io devo essere una persona inospitale. Per di più, credo di avere moltissime porte dentro di me, da cui la gente si affretta a scappare. C’è di buono, comunque, che io non trattengo nessuno se decide di non restare.
Scrivo in uno di quei rarissimi momenti di silenzio, in cui non bisogna parlare con nessuno. E non mi devo preoccupare di sembrare calma, non devo temere domande: scrivo in un miracoloso minuto di pace in questo andirivieni continuo. Solo tornando qui mi accorgo di quanto davvero mi mancasse il cielo dei miei posti, così inspiegabilmente più vicino ed umano. Mi mancava poter guardare dritto al confine del mare e sentirmi sollevata all’idea di vederne la fine: ecco, lì, su quella linea, dove le chiazze di rosso e viola di colpo si interrompono, in quel punto tutto inizia e va a morire. E poi il cielo qui è così buono e leggero, che se anche non avesse argini sarebbe un privilegio, perché il suo lasciarsi toccare è casa mia.

Alcuni ricordi che conservo di te sono come ferite sulle dita. Si mettono lì, minuscoli in un punto nascosto, e tornano a pungere mentre faccio la cosa più semplice, la più quotidiana. Molti sono già guariti, con la saliva e in mezzo al bruciore, altri lo faranno presto; sono di quei tagli per cui non esistono cicatrici. Io non voglio che mai più niente, mai più niente mi ferisca così. Che niente e nessuno arrivi a prendermi allo stesso modo, perché senza le mie armi sono perduta. Io non voglio più fidarmi così.
Sei la persona con cui ho commesso gli errori più sciocchi, a cui ho mostrato tutte le ingenuità e tutte le paure, con te ho pensato che bastasse abbandonarsi, con te sono stata cieca ed ostinata, spaventata, presuntuosa. Ed ho difeso il mio amore tanto debolmente, credendolo insignificante, da farlo sembrare anche a te poco più di niente. Ho avuto bisogno che 102 messaggi cancellati fossero testimoni del fatto che non avevo sognato, che per quanto fervida la mia fantasia non sarebbe stata capace di tanto. Perché per te ho pregato e pianto, per te ho desiderato con tutte le forze di essere un’altra persona, di avere le sue sembianze e la sua voce, perché per un istante solo mi amassi. Ho desiderato di aver fatto tutto il contrario di quanto in realtà ho fatto, anche quando si trattava di perderti con un po’ più di dignità. E tenere a bada tanti pentimenti finora mi ha preso un tempo enorme... non riuscirei a spiegarlo, né tu ad immaginare.
Ora che ti vedo entusiasmarti e ridere per altre persone ogni tanto mi chiedo, ma con leggerezza, se sarebbe stato mai possibile vederti ridere così, per me. Con lo stesso brillare del viso. E ogni volta mi rispondo di no. Per punire qualche impulso di immodestia, sicuramente, ma soprattutto perché è la mia conquista poter dire che adesso non mi importa più. Così quel no definitivo resta bloccato nel suo angolo di stanza e non osa fiatare dal momento che io, finalmente io sono più forte.
Sono gli ultimi giorni di dicembre, l’epilogo dell’anno più difficile della mia vita. Ed ho viaggi in programma, risate e bisogno di attenzioni, lettere mai ricevute, amici da cui tornare, il mio più bel regalo che viene a trovarmi domenica alle nove. Ho tanta famiglia a cui piace scambiarsi regali e biglietti spiritosi la mattina di Natale, nella quale ognuno è tanto importante che in mezzo a trenta persone un’assenza si nota, si cerca di rimediare.
Ho altre pagine bianche. E se una resta per sempre scritta a metà, ho un intero quaderno su cui continuare.


"Lascia stare tutto quello che non vedi
e togliti quei guanti
Finché non c’è una legge che te lo vieti
appoggiati ai miei palmi
Se vuoi ragione hai ragione
a proseguire col tuo istinto
ma non cambiare direzione, vai
avanti sempre dritto"

venerdì 5 dicembre 2008

Era speciale

Inizio a guardarti senza darlo a vedere, per non farti provare imbarazzo. Mi ipnotizzano le tue mani, i gomiti poggiati sul tavolo in modo leggero, come fai tu, per non essere di peso. E quel punto indefinito tra il collo, la spalla e il braccio, dove mi sorprendo a pensarti più debole. Non parli con me, questa è una fortuna, perché sarebbe difficile ascoltarti e ancora di più cercare di non farti scorgere niente, sul mio viso, niente che ti faccia capire come ti sto guardando.
Io non ti osservo: non voglio carpirti nessun segreto, intuire nulla che non arrivi spontaneamente. Non ti rubo niente e neanche te lo chiedo, non ti scruto, non ti esamino, non cerco il nervosismo nei tuoi gesti né mi aspetto di capire quella piega amara della bocca. Però mentre non lo sai, sto cercando di avvolgerti, di fare mia l’aria intorno a te. Per scaldarla, perché non ti senta sola.
Quanto tempo è che non ti vedo, quante volte avrai pianto e quante scoperte avrai fatto lontano da me, un mondo intero che non so neanche immaginare... quante scarpe hai consumato, per tornare ancora qui e sederti a questo tavolo, come se nulla fosse. Parli poco, io lo so che non hai avuto la vita facile. Mi chiedo se da tutto quel dolore riuscirò mai a consolarti.
Sento salire un piccolo blocco in gola, per me così familiare: non farmi parlare adesso, non voltarti ancora, aspetta che passi. Finisce presto e va giù, respiro. So che tocca a me, che è tutto pronto, loro se ne andranno e resteremo tu ed io, sulle sedie attorno al tavolo, a giocare prima e a parlare poi. Guardami ora, voglio prendermi i tuoi occhi.
Lascia che senta cosa posso fare, fammi vedere cosa sei diventata. Non aver paura, non agitarti: capiremo tutto. Se puoi abbracciami forte.


"Guardavo le sue mani
che stuzzicavano insolenti una rosa finta
ed era così dolce
il modo in cui nascondeva l'imbarazzo
Mentre parlava sorrideva ironicamente
delle proprie sventure
Teneva gli occhi bassi

Guardavo le sue mani che si intrecciavano
tra i ricami di una tovaglia
Riuscivo a stento a trattenere
la voglia di afferrarle
di aggredire il suo dolore

Misto all'incenso il sapore di un pasto
frugale e i ricordi storditi dal tempo
Pur essendo simile a tante e tante altre
persone era speciale... speciale."