martedì 13 gennaio 2009

Preghiera in gennaio

Prendere la vita tutta in due sorsi e poi sentirmene ubriaca. Ecco, lui è così: tutto quello che sono già stata, più qualcosa che non mi sarebbe mai venuto in mente, ed altro che non capisco ancora. E non è neanche una storia sola, sono milioni, eppure tutte riversate e accomodate addosso a me come un abito fatto bene: lui fa questo. Mi ha raccontato le puttane facendomele credere principesse, ha iniziato una canzone su due note che mi dilatano dentro, poi con uno scherzo perfettamente riuscito mi ha fatto ridere della morte. Mentre osservavo minuto per minuto, testarda come le onde, l’istante esatto in cui andava via, mi ha detto: respira pure, ritornerà. Respira piano, ritornerà.
Ho ascoltato De Andrè a piccole dosi oppure a cascate, ho preso una canzone e mi ci sono legata tanto, ne ho imparate venti nuove tutte in un giorno. Alcune le ho regalate, altre ho dovuto raccattarle dal pavimento quando le ho riavute indietro. Ed ogni volta quella percezione che torna: quella di essere in navigazione su un fiume ampio, tortuoso e limpido, e di andare veloce verso un luogo che non ha nome né coordinate, che non saprei come indicare agli altri ma che so di conoscere. Seguita quasi sempre dal completo spalancarsi dell’anima quando si finisce, come sempre si finisce, al mare. Un mare qualunque, l’unico mare.
Lui mi ha detto per primo, diretto come uno schiaffo e senza inutili preamboli, quanto è breve la vita delle più belle cose. Perché forse dopotutto non l’ho ancora imparato, e dire che me ne hanno date di possibilità. Di corsie d’ospedale, di cuscini bagnati, di semiparalisi. Di una mancanza che mi chiedo ancora adesso come faccio a non sentire incolmabile, e dello svanire dei sogni. Quanti anni ci vogliono, sapresti dirmelo, per capire come prenderla? Ma di nuovo eccoti che mi precipiti nel fango, nelle volute di strade che non avrei mai visto, con quell’assurda profondità della voce a cui non ci si può negare. Nel marciume maleodorante di un porto come nel candore dell’infanzia, nei muscoli e nei capelli, eccoti che mi riprendi. Eccoti.
Cosa lascio nel mio testamento, Fabrizio? Cosa troverebbero di me se domani sparissi per tutti? Se morissi e potessi guardare lo stesso. Forse le persone più importanti sarebbero le ultime a sapere. Forse avrei dovuto finirla e mandarla, quella lettera, perché avevo tante bellissime parole da dire rimaste mute, e avrei dovuto buttare a qualcuno di più la verità in faccia, rovinare gli oggetti, mettere spesso la mia felpa preferita. Magari nessuna delle tracce che lascerei parlerebbe davvero di me.
Ho la terra che mi ricorda chi sono, la memoria che tiene uniti i fili. Però, a te almeno posso dirlo, io ho tantissima paura. Non della morte, no, la signora viene quando è deciso: della mia vita. Tornerà mai il respiro accelerato al suono di una voce, torneranno i brividi, e lo scoppiare dell’universo intero nel tenere una mano? Io l’ho perso, ma dimmi che non è per sempre, con umana pietà, consolami. Raccontami che con gli occhi di un altro colore mi riempiranno delle stesse cose.
Raccontami che esiste un futuro felicissimo, che mi prenderà interamente, mi lancerà per il mondo. Un futuro che avrà mani e viso di ragazza ma un cuore di uomo, e braccia forti in cui cadere non sarà che lasciarsi prendere, non ci sarà l’ansia di smarrirsi, si potrà anche non vedere. Si potrà saltare giù dalla finestra e iniziare un volo bianco. E tutto sarà solo, tutto sarà allora finalmente, assoluto come certe tue canzoni. Totalizzante e pieno, come la sensazione di un bacio.

P.S.: Perdonami per non saper scrivere di te. E ridi pure, come ti vedo sempre da là in alto, ridere.


"In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità
a me ricordava la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa
Sentivo la mia terra vibrare di suoni, era il mio cuore
e allora perché coltivarla ancora,
come pensarla migliore


Libertà l'ho vista dormire nei campi coltivati
a cielo e denaro, a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato
Libertà l'ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato
per un fruscio di ragazze a un ballo
per un compagno ubriaco

E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare
suonare ti tocca per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare

Finii con i campi alle ortiche
finii con un flauto spezzato
e un ridere rauco, e ricordi tanti
... e nemmeno un rimpianto"