domenica 7 marzo 2010

Estupideces

"Non hai mai sentito dire
che la bellezza delle cose
ama nascondersi
Ed è forte quello che ho dentro
distante dalla mediocrità
ho rischiato di perdere tutto per non subirla."


Bicipiti, pettorali, addominali. 15 kg per 20 ripetizioni per 3 volte. E quanto puoi resistere sul rematore.
Quello che mi ha sempre spaventata è ascoltare il mio corpo da fuori oltre che da dentro. Abbiamo interrotto i contatti nove anni fa, ma ci siamo separati pacificamente, l’ho lasciato che vinceva tutte le sfide e si prendeva i complimenti. L’ho lasciato che gli piaceva muoversi, ma doveva smettere.
Ho immerso antenne, mani e testa in tutto ciò che mi si spostava dentro. Nella precisa e molteplice definizione dei suoi dolori, contando e differenziando le sfumature, fitta, morso, punta, bruciore, crampo, rush, amore, delusione, impotenza, formicolio, nausea, tremore. Mi sono impegnata per anni a capire come stare meno male, quali sono i rimedi migliori, come spiegare ai medici l’esatta sensazione di quel dolore mai sentito. Ascoltandomi, attenta ai piccoli scricchiolii, dentro di me.
I muscoli si sono prosciugati, restando l’indispensabile, ed io sono diventata paurosa. Dopo un certo tempo, ho capito che il corpo non mi rispondeva più, che non mi avrebbe difesa da nulla: capogiri al solo tentare una corsa, un movimento più azzardato, un salto troppo alto. Non ce la facevo più con niente, e la mia sola risposta – costretta per anni, ma non del tutto – è stata tentare di proteggermi alla meglio, evitando ogni possibile contatto con qualcosa di più forte e più solido di me. Per tenere a bada la paura dei lividi, smettere coi sogni sul cadere e non sentirmi minacciata dalla maggior parte delle cose più normali, da una bicicletta o da un cane. Perché ero convinta, come in uno di quei telefilm di avventura, che sarei stata io a cedere.
In molto, lo so bene, ho ceduto. Rese che mi fanno male e di cui non scrivo. Ma in tutto questo il corpo mi ha solo accompagnato silenzioso, restando pieno di cicatrici e smagliature. A considerarlo debole, ininfluente, ci fai l'abitudine.

Ho messo piede in una palestra dopo secoli. In quelle stanze grandi, con poche finestre e il pavimento di un colore che non ti ricordi mai. Ciò che mi frenava era il confronto, l’imbarazzo di non ricordarsi neanche più cos’è una tessera di iscrizione. Il disagio di entrare mentre gli altri sanno benissimo cosa fare e al limite ti squadrano per capire da dove arrivi. Ho avuto rabbia e stomaco contorto, e immagini che sono state il mio pungolo, per risolvere i primi 4 minuti di movimento. Senso del ridicolo e un certo orgoglio della mia totale inesperienza, mentre mi facevo spiegare tutti gli attrezzi come ai bambini. Quelle leve e contrappesi che un tempo padroneggiavo così bene, e che per un tempo altrettanto lungo sono sembrati strumenti spaventosi, da evitare, costruiti per farmi male quando ero fragile.
Fa uno strano effetto vedere che, una volta seduta, sono io che posso avere il controllo. Mi colpisce, come se non me l’aspettassi, vedere che qualcosa riesco a superarla. Sentirmi supportata dalle amiche, anche se le mie sono quantità irrisorie, e anche se loro sono anni luce più esperte di me. Potermi esporre e potermi ridere, con loro. È una parte molto piccola della strada per non avere paura, che ha i suoi tempi e i miei tempi. E mi distrae. Adesso che ho bisogno di essere distratta, perché molte cose attorno a me franano, e può andare bene ogni tipo di sciocchezza.

"Abbiamo vagato a lungo
in quei discorsi preziosi e contorti
senza concludere
Ed è forte quello che ho dentro
distante dalla mediocrità
ho inseguito il rumore assordante per non sentirla"