sabato 5 novembre 2011

Appunti di viaggio

Porto

Che strana urbanistica ha il Portogallo. Guardo la cartina cento volte e non so mai di sicuro se ho azzeccato la strada. Andiamo un po’ a caso per questa città deserta, di domenica pomeriggio, c’era scritto sulla cartina che i portuenses non vanno in giro. Ci prendono in contropiede le salite così ripide per la cattedrale di pietra grigia, e poi un numero imprecisato di scalini per scendere, finché non arriviamo a ciò che da subito volevamo vedere: il Douro intorno a cui tutto sembra affollarsi. Sulla Ribeira la città ha una metamorfosi. Si dirada la nebbia, si arricchiscono le case con gli azulejos che proteggono dall’umidità, la gente guarda i gabbiani e il fiume bevendo vino su enormi pouf colorati. Mi sembra di essere in una Genova popolata di granadini, vedere delle teterías sparse sul Porto Antico, ascoltare il dialetto di De Andrè mischiato allo spagnolo. C’è quell’aria umida e decadente delle vecchie città di mare (perché appena più in fondo si apre, il mare), un po’ più abituata ad essere ammirata, ma con lo stesso orgoglio suscettibile. È facile dimenticare dove mi trovo, camminare come su una nuvola fino al gigante di ferro Dom Luis I. Porto è la città dei ponti. A vederla da qua in alto la cosa più naturale è fermarsi a metà, fissarsi sul sole arancione che sfuma l’acqua e gli edifici. “In Portogallo non abbiamo albe, solo tramonti”: sono tra i più belli che abbia mai visto.




Lisboa

Le salite e discese stavolta non ci stupiscono più. Ci stupisce invece il sole limpido e caldo, da manica corta, mentre picchia sui tetti rossi di una città che non somiglia a nessun’altra. Bianca, marrone, asciutta e chiara, Lisboa si può guardare dall’alto o dal basso. Dalle onde del Rossio, dalla cattedrale dei treni, dalla praça do Comercio che si tuffa in acqua. Oppure da Santa Luzia, dove scopri che il Tejo è immenso, dall’elevador de Santa Justa su cui l’amico della guida ti fa salire a scrocco. Puoi guardare nelle case dalle finestre senza vetri del tram 28, prendere freddo la sera se non stai attento. Lisboa ha il sapore dolcissimo della ginjinha mescolato con l’aspro delle ciliegie, morbido come il pane delle bifanas. Ha il potere di farti scordare la stanchezza delle ore di cammino col rumore delle onde sotto la torre di Belém, con i pescatori immobili per ore e con la cannella sui divini pastéis de nata. Tornando in ostello, la sera, mi lasciava la sensazione di giornate complete, piene di attività; nonostante la mia tendenza a tormentarmi di pensieri, Lisboa mi saziava la mente e mi regalava il modo di staccare da quello che restava, in un altro mondo, tutto il resto della mia vita.
Quando poi iniziavamo a pensare di orientarci, Sintra ci ha sbalzato nella foresta delle favole. Era davvero matto il miliardario che si è fatto un giardino che sembra un labirinto. Devono esserci andati dei bambini, a colorare il Palacio da Pena in quel modo strampalato, devono esserci stati orchi e gnomi che hanno lasciato ai massi quelle forme tonde. Ci sono volute gambe volenterose e una buona sciarpa, per non fermarsi a metà strada e salire fino in cima. Ma la vista da lassù ha ripagato ogni stanchezza.







Cabo da Roca - Onde a terra se acaba e o mar começa

Qualsiasi cosa dovrebbe essere vista sotto questa luce. Circonda e schiarisce, fa arrossire, e penso che tutto, chiunque, qui apparirebbe bellissimo. Il vento entra nel cervello e disperde tutti i pensieri maligni che ci restavano attaccati con piccoli uncini. Senti soltanto il suo soffiare, non sei più nessuno per il resto del mondo, se non un metro e cinquantaqualcosa a un passo dallo strapiombo. Non c’è bisogno di avere una vita, basta questo turbine e le montagne e il mare intorno che ti fanno vedere di cosa sono capaci. Si dovrebbe poter tornare qui, ogni tanto, per smettere di sentirsi in trappola, di avere un carattere, di litigare, di preoccuparsi del futuro. Si dovrebbe vedere questa luce, questo vento. Chissà se basta ricordare.

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