Penso all’estenuante necessità dei saluti, a quanto si possa
resistere in quell’eterno prendere e lasciare, dirsi a presto, sorridere finché
non sali in treno, credere che anche stavolta passerà in fretta. Fai bene tu ad
anticipare tutto, a scappare un attimo prima. Comunque so che anche stavolta
sono domande inutili, che tutto avrà la sua motivazione e la magia si ripeterà
nel rivederti. Ci allontaniamo dalla stazione, dagli ultimi sprazzi di
periferia della città. Io sono già andata via da almeno dieci minuti.
Prima, ci sono i campi di granturco, verdissimi a inizio
estate, mezzi secchi ormai a settembre. Mi ricordano il regionalino per Pavia,
e la prima volta che ho visto delle risaie, ridendo al ricordo del libro di
geografia su cui studiavo alle medie (ma non ho ancora capito quella questione
della barbabietola da zucchero). Capannoni industriali un po’ isolati, qualche
casa diroccata, fiumi, Piacenza. Campi falciati adesso, gialli con un albero in
mezzo, mi sembra quasi di vederli già sfuocati, contrastati e con le curve
messe bene, e attraverso questa lente mi sono così familiari da essere una
compagnia buona. A quest’ora passa ancora qualche trattore. Ritorniamo tutti
alle tane, io e loro.
Stabilimento Bormioli a Fidenza, quello dei calici da vino
vinti coi punti della benzina che mamma tira fuori la domenica, non troppo
spesso perché sono noiosi da lavare e asciugare a mano. Sono lontana da quella
tavola al sole apparecchiata, dai caffè così affollati, ma anche dal golfo di
Genova, e ormai dal divano rosso. Mi porto dietro i fili delle mie vite e dei
miei posti allungandoli a piacere, finché non si adattano alla vita contingente
in cui mi trovo, sentendo la mancanza di tutti a turno, di qualcuno sempre,
come ho sentito prima di ora la mancanza di Forlì.
Parma. Mi chiedo se quando ti costruisci una nuova realtà in
qualche modo perdi qualcosa della precedente, o quante in totale ne puoi
accumulare sentendole tutte addosso, senza chiederti in quale stai meglio,
senza dover scegliere. Il sole tramonta fra Reggio Emilia e Modena, l'arancione è bello anche dal treno.
Bologna è un presagio di Faenza, controllo di aver preso
tutto, si scende, si schiacciano di nuovo le foglie secche bagnate di Viale
della Libertà. Non so se provo più la stanchezza del viaggio o quella di
ritrovarmi di nuovo in questo continente umido e un po’ buio, la fatica breve
dell’adattamento.
Salgo le scale e sono a casa. È casa anche questa, sì, una
di quelle in cui non sono cresciuta da piccola, come quella che ho lasciato da
tre ore. La differenza tra questa e quella sei tu. La differenza tra me e te è
così chiara che non c’è stato alcun bisogno di porsi la domanda. Pochi minuti,
poi questa stanza arancione mi si stringe un po’ meglio intorno, riprendo le
redini di qui da dove le avevo lasciate. Contenta, naturalmente, di quello e di
quelli che trovo, degli abbracci che già pregusto, persino degli impegni.
Tengo stretto il filo rosso che proviene da lassù aspettando
la prossima volta. Prendere di nuovo il treno, avere pazienza. E trovarti ad
aspettarmi con un cartello in mano, come se tornassi da un'altra vita.
Che salpino le navi
si levino le ancore e si gonfino le vele
verranno giorni limpidi e dobbiamo approfittare
di questi venti gelidi, del greco e del maestrale,
lasciamo che ci spingano al di là di questo mare
e non c’è più niente per cui piangere o tornare.
Si perdano i rumori
e presto si allontanino i ricordi e questi odori
verranno giorni vergini e comunque giorni nuovi
ci inventeremo regole, ci sceglieremo i nomi
e certo ci ritroveremo a fare vecchi errori
ma solo per scoprire di essere migliori.