domenica 11 ottobre 2009

Come una lettera

"Sono io quella che aspetta
e ogni volta rimane in silenzio
sono io quella che ascolta
e che porge l'altra guancia
Sono io quella che sogna
e si sveglia sognando ancora
una carezza che non sia menzogna
un istante da sognare ancora"


Ciao,
sono passati alcuni giorni e avevo tanta voglia di scriverti, ma quando ho cominciato mi si sono affollati i pensieri in modo troppo confuso, e le poche righe che sono venute fuori si sono ingarbugliate. Allora vengo a cercarti nel modo meno invadente, come un ritorno ai vecchi tempi, sperando che ti riconosca. Che mi riconosca.
Sono a Granada da tre settimane ormai, spinta da un vento così forte che se mi bastassero le gambe correrei per ogni strada. Avevo paura di questo posto come di ogni scommessa al buio, ma sapessi com’è bello non perdersi dopo pochi giorni, e non sentire nessuna barriera davanti... mi sento al contempo facilitata e messa alla prova, ma ho calma sufficiente per sentire con chiarezza entrambe le cose.
E se la vedessi! Ti innamoreresti di questa città nel tuo modo immediato e positivo, ne sono sicura così come so che pian piano sta conquistando me. Non cammineresti da una via all’altra solo per doverti spostare, ma proveresti a gustare ogni cosa, allo stesso tempo vorace e attentissima. Chiederesti informazioni e tireresti fuori, da uno dei tuoi cassetti della memoria, qualche storia interessante su questa parte di mondo.
Una delle cose che preferisco in questi pomeriggi di tarda estate è camminare per la Calderería, quando salendo da Plaza Nueva di pochi passi non sai più dove sei. Non posso mandarti in una busta i profumi diversi e intensi che si sprigionano da ogni porta, le varietà di infusi e incenso, i frullati e la musica, tutto quel miscuglio di note e voci sconosciute, i sorrisi mulatti, le lettere arabe. Vedessi come ci gioca la luce, sui palazzi di questo angolo di Spagna che ha nostalgia dell’Africa. E che buon sapore hanno i fiori nel tè...
Quando vado in giro, sai, leggo quasi ogni cartello o scritta e penso che c’è gente per cui non sono comprensibili: per molti queste parole racchiudono un loro mistero indecifrabile, mentre la mia testa ora non ha più bisogno di tradurre per capire. Li dovresti sentir parlare poi, e te ne accorgeresti anche tu che gli andalusi hanno questo accento stupendo e musicale, di lettere aspirate e scivolate, un po’ di corsa e un po’ di comodo. Ti farei sentire le differenze, le percepiresti in mezzo minuto. Diresti che la prossima cosa da fare è imparare lo spagnolo, perché ti piace un sacco...
Vicino casa mia danno lezioni di flamenco, o danze regionali, non so bene, passandoci davanti la sera ho sempre la tentazione di spiare dalla finestra come un’intrusa. Perché battono i piedi da far tremare la strada, e se ci fossi e se ascoltassi, anche tu vorresti saper ballare! Oh, ameresti questa città, perché agli angoli delle strade in coni di carta vendono le tue caldarroste. E anche quelle, come il resto, hanno il gusto dello sperimentarsi continuo, dell’esplorazione, delle prove. Hanno il gusto di imparare a camminare, ad un ritmo che non conoscevo. Così a volte mi sfiora un pensiero semi abbandonato, che si mette il vestito nuovo, e dice che finché ci sono posti come questo è utile continuare a credere in qualcosa, a scalciare e arrabbiarsi, è utile avere una qualche speranza.

Ho imparato molte cose in questi tre anni, non tutte mi hanno fatto bene. Mi sono scontrata con teste nuove ed ho ascoltato racconti e spiegazioni. Così lentamente ho visto che ci sono persone per cui puoi cambiare, sforzandoti di andar loro incontro nel modo migliore che ti riesce, che non lo vedranno mai. Ed hanno dolcezza e sfumature e riescono ad essere vere esplosioni, ma in fondo sono sensibili solo a sé stesse, ai propri problemi dal più stupido al più grave, e totalmente cieche verso gli altri. Ci sono persone davanti a cui ti scopri disposta a dimenticare, ammorbidire, perdonare l’imperdonabile, per le quali hai sempre le braccia aperte nei momenti di tristezza, e che di tutto questo non si accorgono affatto. Eppure per un tempo incalcolabile, continui a tenere la porta aperta per loro, facendoti coinvolgere dal più piccolo turbamento. Quando gli parli, nessuna frase ti sembra eccessiva, superi il timore reverenziale di definire un sentimento, di confidare una debolezza. E ti ritrovi a scrivere lettere lunghissime, di cui poi ti penti perché anche se è così assurdo da pensare, ci sono persone che di una lettera non se ne fanno niente. E se decidono di farlo, ti rispondono come fosse un dovere.
Conosci quanto me il sapore delle delusioni inghiottite, delle attese spasmodiche, cercando il senso dietro alle parole, ai silenzi e alle cose lasciate a mezzo, quando non sempre quello che ci vedi è la verità. Nei labirinti, sui grovigli dei sentimenti e sugli intrecci. Hai scavato così a fondo nei tuoi mesi di nulla, da non sapere immaginare un male più insaziabile. Il dolore in portoghese è femminile.
Ho imparato da te che il pianto è sacro e prezioso, non importa quanto sia frequente. Che non è noioso, banale, ma nel suo vincere ogni resistenza è una delle cose più intime e rare di una persona, e si dovrebbe stare coi guanti bianchi al cospetto di un pianto, cercare di rimediare ciò che l’ha provocato. Questo non lo capiscono mai.
A volte, come me, sei eccessiva. E lo sai, succede perché gli altri non sanno cosa vuol dire vedere il mondo con questi occhi, quanto può essere difficile alcune volte, in un preciso quarto d’ora o un minuto a caso della giornata, sentirsi una minoranza. Tanto che vorrei anche solo per pochissimo che tutto andasse al contrario, così che la mia normalità fosse visibile a tutti. A chi certe domande non se le è fatte mai, a chi non ha voluto rispondere. A chi continua a non vedere.
Avrei voglia di continuare, ma come vedi non sono organizzata, e non so scrivere più. Ti mando tutto questo come una lettera, perché hai festeggiato i tuoi anni da poco, e pensandoti mi sono accorta di quanto è davvero importante averti (ancora) nella mia vita. Quanto conta per me. Senza dir niente, o quasi niente, su quello che stai vivendo. Perché il tuo dolore mi riguarda così da vicino che non ho parole per consolarlo, nessuna idea brillante, nessun antidoto da spedirti in un pacchetto colorato; nonostante mi svegli ogni mattina sperando, come dicono qui, que te sea leve.
Un bacio.