mercoledì 17 novembre 2010

In-sociability

Viviamo a velocità diverse, tanto da lasciarmi senza una parola da scrivere. Ci oltrepassiamo senza esserci neanche scambiati uno sguardo. Mi pulsa il cervello a fine giornata, non trovo un modo per acquietarlo.
Me ne vado in libreria a sfogare il mio non saper che fare, in pomeriggi simili, che alle cinque già sembra notte. Porto a rimorchio questa rabbia immotivata di non sentirci e non parlarci più, porto la voglia di stare da sola, i denti serrati. E mi dirigo tra i libri sconosciuti: quelli non letti, che non voglio comprare, con autori mai sentiti e che non so di che parlano. Mi trasformo in commessa e metto in ordine le pile, allineo le copertine, evito che l’ultimo romanzo rosa copra quello geniale che conosco da tempo. Oppure li guardo con le mani in tasca. Non hanno la soluzione, ma ne sanno certamente più di me. Di fronte alla diversità e disponibilità delle loro storie, mi ridimensiono.
Vorrei poter scrivere per compensare la nostra mancanza di tempo, come se si potesse recuperare in qualche modo un contatto trovando le parole giuste. Mi riporto a casa la voglia di chiudermi la porta alle spalle e non sentire nessuno. Non aprire bocca. Far finta di niente e lasciar perdere il ritardo.