martedì 1 dicembre 2009

Prospettiva Nevsky

Non so se ti ricordi il mare. Il mare, prima che il mondo si voltasse a guardarti, e ti fermasse. Se credi che un pittore e un cavalletto possano interrompere la sua perfezione. O se può farlo un bacio, con la tua.


“Un vento a trenta gradi sottozero
incontrastato sulle piazze vuote contro i campanili
a tratti come raffiche di mitra
disintegrava i cumuli di neve”


Scrivo con la musica, la musica mi cura. Perché se uso la scrittura come disinfettante brucia un po’. Mi riporta sulla tua fronte la voce fredda e profonda di Alice, il suo inverno di canzone. Ho bloccato le mani per tanto tempo, sempre indecisa o timorosa, così adesso che provo a tirar fuori qualche riga, senza rabbia, senza niente, lo trovo difficile. Lei canta, con i bassi di un uomo, una delle poche voci che a quest’ora non mi danno fastidio. Volevo scriverti tanti fogli fitti, una cascata di frasi certe, con un punto alla fine. Che fosse solo un insieme di cose che non sai, una mano di carta che poteva restarti in qualche modo, farti piacere, una striscia rosso pallido su una tela bianca, o anche per niente. Per niente, soprattutto. Invece neanche so come andare avanti, vedi, senza che ti sembri una richiesta di qualcosa, senza che ti senta neanche coinvolta. La verità è che scrivo per me, per tenere in piedi il pomeriggio.
Faccio fatica a sorridere oggi, per quanto mi sforzi. Non sono stata ferma sul letto tutto il giorno, ho fatto all’incirca quanto dovevo, eppure appena posso rimetto questa faccia, piatta e opaca. Il ciuffo sull’occhio destro, mi schermo. Mi costa parlare e muovermi, ho freddo, eppure non vorrei altro che parole, o essere la destinataria di una di quelle mail lunghissime, o che mi facessi ombra sulla porta, dieci secondi scarsi, e potere ringraziarti per ogni cosa, una risposta che mi perdonasse di tutto, persino di piangere. Intanto resto in una stanza in cui il massimo della tenerezza consentita è una sigaretta o un plaid arancione. Il messaggio di un bacio perugina, così per ricordarmi che ho dimenticato l’amore. La canzone prende il volo.

“… Per la notte e un film
di Eisenstein sulla Rivoluzione
E studiavamo chiusi in una stanza,
la luce fioca di candele, lampade a petrolio”



Mi manca casa mia e l’odore della brace del camino, mia sorella. La sensazione di non doversi necessariamente sforzare per ogni cosa, i lavori di gruppo, quelli da sola, la laurea i test i viaggi i pranzi le discoteche dormire senza sognare niente. I miei genitori, e un sacco di persone. Poter essere lontana, e forse, perfino mancarti.
A volte per questo torno alle canzoni, che aumentano incessantemente ma non ho ancora capito come è possibile che tutte mi abbiano per una parte. I miei classici, le mie indiscutibili, i colpi di fulmine tutti nuovi. Dove una mi ha capito e mi ha tenuto ma poi mi lascia e mi fa cambiare umore, o mandare tutto al diavolo. O scappare. Sono nuda davanti alle canzoni, bassa, coi miei chili di troppo. Due piccoli calli sulle mani, lo sguardo sperso che ti ho regalato troppe volte, inutili volte. Certe canzoni mi fanno vergognare.
Mi guardate, ma io ho una musica che mi sta assorbendo. Assieme alla parte della mia vita che si porta incollata, che a volte viene fuori come un respiro soffocato. Di quelli che non senti più. Ho i suoi occhi marroni sulla porta, le sue mani timide, le sue mani decise. Tre baci sul collo. Il marciapiede di via Zanchini, quando ha piovuto, e tutti i treni che mi hanno lasciata sola, dentro o fuori dai vagoni. La Fuente de Las Batallas.
Cerco di far sì che qualcosa succeda. Provo a non fermarmi e aguzzare la vista, sempre, perché cerco un segno, un indizio, una freccia messa a caso per la strada giusta. La cosa giusta da fare. Il posto in cui andare perché ci si sblocchi. Per smettere di avere come obiettivo nella vita il benessere degli altri, la serenità degli altri, la loro comodità. Risento continuamente le mie parole, bianche come ovatta, inservibili, scusami, scusami, scusami. Delle cose di cui non mi scuseranno mai.
A volte non ne sai niente. Non sai delle canzoni come per fortuna non riconosci la riga storta sulla mia schiena, le mie gambe, mentre te ne vai a letto. In fondo non importa troppo neanche a me, stasera, dopo risate e castagne. Metto su le cuffie, e mi addormento. Tú, por favó, cuídate muxo.

“E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”