giovedì 11 ottobre 2007

I giorni

Un giorno inizia con fatica. A volte quando apri gli occhi di colpo, rendendotene conto solo un istante dopo; altre volte quando si affacciano pensieri senza avvisare e non riesci a capire quando il sonno sia finito.

Quel giorno lì, non potevi credere di saperti rialzare da sola. Ti brillava la fronte e alzavi la voce perché lo sentissero, cosa ti era successo. Avresti voluto piangere se fosse servito a farglielo capire (ma non piangevi ancora, era troppo difficile). E ti stupisci adesso di ricordare mille ore prima e dopo. Prima e dopo.
C’era il giorno in cui bastava infilarsi in bocca un pezzo di cioccolata e star zitta, col viso disteso dal sapore buono, magari da dividere con qualcuno. La volta in cui invece sul palato si sentiva solo veleno, che non si riusciva a scacciare a furia di inghiottire saliva, e si stava zitti lo stesso ad aspettare che passasse quella devastazione e tornasse un minimo, un minimo di pace.
C’era anche la sera in cui la tranquillità era scoramento, e non si voleva null’altro se non che scoppiasse un temporale, che accadesse un cambiamento qualunque, una caduta, una lettera, un graffio. Tanti, tanti di questi silenzi infiniti e vuoti, senza sapere come si sopportavano. E i piedi così freddi di notte da confondere il gelo col dolore, metterci troppo ad accorgersi che non passava. Metterci sempre troppo.
Lo ricordi? C’è stato il giorno in cui la musica invadeva tutto, e socchiudevi gli occhi per aver paura di tanta bellezza che rimbalzava nel petto violenta, e nulla sarebbe bastato a contenerla o a spiegarla ma il desiderio di regalarla era irrefrenabile, così vivo! Dividere moltiplica, ti sei detta.
E ricordi ancora quel giorno, in cui il sorriso è stato così aperto che non vedevi quasi più da quanto gli occhi erano stretti, e non riuscivi a dire niente per lasciare spazio a quella gioia esplosa sul viso. Sperando che chi ti veniva incontro lo sentisse come te.
E’ venuto persino il giorno, che non è passato da tanto, in cui amore era una parola che esisteva e non faceva più paura, così che ogni cosa sembrava uno stupore incontenibile. Il momento di quello che hai immaginato per così tanto tempo da non credere più seriamente che possa succedere, e che vedi lì davanti a te disarmato, pronto a restare per sempre.
Cambiano altri giorni ogni mattina, da quando sono qui. Alzarsi e rabbrividire, per il freddo che c’è nel pigiama leggero, e anche non credendo all’orologio dover prendere la strada e andare di nuovo, a passo svelto, con decisione. Accettare che l’aria ti prenda a schiaffi perché poi essa stessa ti sollevi.
Viene, certo, anche un giorno come questo, in cui ti sembra di aver vissuto in modo ineccepibile, di aver fatto davvero tutto quello che potevi, di esserti impegnata, di aver trovato gli spazi giusti per le cose giuste, sofferto il dovuto e sorriso quanto bastava; viene un giorno come questo, e tu non desideri altro che distruggere tutto. E non tornare più.

Credo che non imparerò mai cosa fare. Continuerò per molto tempo ancora a stare qui ferma, guarendo, morendo, guardando i giorni che vanno... a scivolare.

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