martedì 9 ottobre 2007

Monopoli, 15 settembre 2007

Si chiama Antonella ed è la barista che ogni cliente ha sempre sognato: una ragazza bruna e sorridente, attenta, allegra, è una di quelle bariste a cui (come nei film) si può dire la parola magica “il solito” e ti portano esattamente ciò che volevi. Ha cambiato bar ma non è cambiata lei, Antonella, che si ricorda ancora di avermi vista due volte sul giornale, mi riconosce mentre passo davanti alla vetrina e mi chiede cosa ho fatto questa estate. Non resisto ad un sorriso così, stamattina, e per quanto non abbia fame mi butto su un inedito cornetto ed espressino, che si sostituisce al mio “solito” muffin e caffè macchiato. Sì, è cambiato anche il mio “solito”, Antonella, così come cambierò scuola, cuore, mani e città. Ma tornerò a trovarti, sai? Tu non allontanarti troppo, perchè la prossima volta porterò con me anche Mariangela, in nome di quelli che saranno i vecchi tempi :)

“Lucrezia cara, raccontami tutto”
E cosa vuole che le racconti, professoressa? E’ strano tornare in questo posto. Tornarci adesso che non ne sono ancora fuori né più dentro… Ho una specie di tentazione che mi suggerisce di andare in classe perché la ricreazione sta finendo, e volti nuovi tutt’intorno che mi impongono di andar via. Duncan scende le scale con il suo solito passo sconnesso, due sandali da spiaggia che fanno ridere, mi riconosce subito e mi chiede sorridendo “How was the test in Forlì?”, col fare sarcastico di chi mi ha scoraggiata da morire e adesso magari mi vorrebbe consolare. “Good, I passed it” “YOU DID?!” Visto? Sorpresa! Sì, lo è stata anche per me, l’ho saputo ieri eccetera eccetera. Hai visto però Duncan, che ti ricordi come mi chiamo? Grazie, per questo.
Sono così oltre tutto quello che ero qui, che mi ritrovo a fare la gentile persino con la Simone, sottolineando però che è stata la Allende a portare bene, mentre lei preferisce la Esquivel e non spiega nessuna delle due. E ripenso con un briciolo di rimpianto a quanto, quanto avrebbe potuto darci! In ogni senso, come avremmo potuto essere più ricchi di quanto non lo siamo già, se solo il gelo di quegli occhi azzurri si fosse sciolto appena un po’. Chi lo sa, magari lo capirà, Chicas. Io, per me, credo di averglielo detto.
Sembra che tutto sia cambiato in questo primo piano, ma sono mancata così tanto? Non ho più un mio posto, mi sento quasi persa. Pratiche burocratiche da sbrigare e scale che percorro in ogni senso, per stancarmi e per guardare chi arriva. Ma alla fine preferisco così, preferisco non sentirmi più pienamente parte di questo luogo, preferisco che la nostalgia mi si allontani a poco a poco ma presto, così sarà un motivo in meno perché mi manchi casa, quando sarò via.
“Are you happy?” mi chiedi, professoressa... “Yes, of course” ti rispondo, perché il test di ammissione l’ho passato ed era quello a cui miravo finora; poi, visto che un po’ mi conosci, mi chiedi di non dimenticarmi di voi. Me lo chiedi come già sapendo che potrei farlo, effettivamente, guardandomi un secondo seria e scappando via tra la massa di gente vociante davanti alla porta. Hai ragione a ricordarmelo: porterò qualcosa con me, per questo, un libro o una foto che sia inequivocabile, che sia qui e prima, da guardare e da tenere fra le dita quando compirò gli anni.
Ma vado via comunque, da sola, più leggera che mai. E’ una sensazione bella, quella di uscire, che non sentivo da tanto. Vado a scoprire cos’altro c’è fuori, più tardi, quando la notte finisce; vado a prendere appunti altrove, a conoscere nuove voci; vado, perché questo devo fare. Questo voglio.

E chissà se lo sa, Antonella, impegnata com’è a servire cappuccini sorridendo.

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