sabato 17 maggio 2008

Il paese dei balocchi

I DIECI DIRITTI IMPRESCINDIBILI DEL LETTORE
1. Il diritto di non leggere
2. Il diritto di saltare le pagine
3. Il diritto di non finire un libro
4. Il diritto di rileggere
5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa
6. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente trasmissibile)
7. Il diritto di leggere ovunque
8. Il diritto di spizzicare
9. Il diritto di leggere a voce alta
10. Il diritto di tacere

[Daniel Pennac]

Quando entro in libreria, dimenticate pure di avermi mai vista. Basta un passo, due al massimo, e niente di quello che succede in strada è ancora reale.
Quando entro in libreria, scompare l’orologio che seguono gli altri, affondo nella mia dimensione senza tempo in cui mi sento a mio agio e perfettamente accettata. Mi lascio rapire, condurre, ammaestrare dagli scaffali e dai banchi inondati di libri, non sono più la ragazza stanca dopo ore di lezione o con le spalle doloranti a causa dello zaino, ma mi muovo ipnotizzata da un capo all’altro della sala, senza volontà e con tutta la volontà. Annuso la polvere sulla carta, prendo qualche volume a caso, sfoglio, leggo, passo le dita sulle pagine, mi concentro su una frase quasi a volerla salvare dall’abbandono. A volte mi perdo. Giramenti di testa o un lieve malessere, simile a uno spavento annunciato, non riesco a focalizzare nulla. Quando accade, a curarmi è la libreria stessa: ho alcuni libri che forse non comprerò mai, ma che cerco con lo sguardo, in mezzo agli altri, come si cerca un amico in una folla di sconosciuti. Ad esempio, “Il bar sotto il mare” di Benni, che non so neanche di cosa parli, mi restituisce quel minimo sindacale di realtà indispensabile per stare bene.
Poi ci sono i libri che mi aspettano in prima fila, a ricordarmi la mia promessa. Si fanno vedere lì al loro posto, pazienti, pronti per il giorno in cui uscendo dalla libreria li avrò presi con me. “Memorie di Adriano” della Yourcenar è uno di questi, insieme a “Cecità” di Saramago e vari altri. Ogni tanto vado a salutarli, a prenderci un tè, e non accetterei mai che qualcuno me li prestasse, perché loro ci contano, sono già miei, e sarebbe un tradimento. Sono le uniche creature che possa andare a trovare con la certezza che vedermi gli farà piacere.
Quando entro il libreria, ho tentazioni più forti che davanti a un bancone di dolci, mi ci tuffo provando ancora lo stupore ingenuo di vedere un mondo che si rinnova senza perdere il suo passato. E si muove, e cambia, ha spazio per tutti, ma non lascia nessuno da parte. Una volta, sedute su due poltroncine della Feltrinelli di Bologna, Giulia mi disse: “Te lo immagini? Avere una casa così…”, ed io me lo sono immaginato. Ho guardato le pareti coperte dai volumi, il mare multicolore delle copertine, e ho chiuso gli occhi per lasciarmi trapassare da tutte quelle storie, idee, spiegazioni: “Sì, sarebbe bellissimo”. Sarebbe poter scegliere ogni volta qualcosa di nuovo e sconosciuto, avere la libertà di non saziarsi mai. Sarebbe, soprattutto, prendere un giorno un libro, e prestarlo a qualcuno. Regalarlo, se è una storia che amiamo, affidarlo alle cure di un altro, provare a metà con lui la gioia di averlo letto.
Perché è vero che la lettura è vigliacca: offre il riparo sicuro di non dover dire in chi ci siamo immedesimati, cosa avremmo voluto fare, la lettura è il confessore che non tradirà mai la lacrima che abbiamo versato o il sogno erotico che ci ha provocato. Una volta chiuso, il libro resterà in silenzio, e manterrà per sé quel filo che ci lega, il segreto che si svela solo se siamo noi ad aprirlo. Ma è vero altrettanto che dietro questa codardia di nascondersi nelle parole di uno sconosciuto, c’è anche la voglia irrefrenabile di essere scoperti, prima o poi. Di trovare qualcuno che abbia più coraggio di noi e ci riveli il segreto che divide con quel libro. E se è il nostro stesso segreto, eccola lì: la sensazione di aver trovato una bella persona, non solo una bella storia.
Buona lettura!



"La filosofia sembra che si occupi della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi di fantasie, ma forse dice la verità" [A. Tabucchi]

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