mercoledì 28 maggio 2008

"Il via vai della strada"

Quando guardo questa città, da un suo angolo a caso, vorrei non cambiasse mai. Fino ad ora, la sola cosa che si è modificata col tempo è la mia familiarità con lei e coi suoi marciapiedi, il nostro reciproco riconoscerci. Uno sguardo d’intesa, appena arrivata, con le tessere colorate.
Mi affaccio in tutti negozi e mi chiedo, nell’ordine: che serietà possa ispirare una ditta che produce bagnoschiuma di un’inquietante rosso-bacca-dei-puffi o viola-venerdì-santo, per di più orgogliosamente in bella vista in confezioni trasparenti; cosa mai possa spingere una persona sana di mente (che non abbia bauli di denaro da buttare dalla finestra) a comprare una penna Mont Blanc con brillantino incastonato e nome inciso sul tappo; perché la Feltrinelli abbia sempre quelle promozioni in bella vista, a causa delle quali devo ammanettarmi se voglio evitare acquisti inconsulti ed attacchi di libridine. Che poi, io e le librerie abbiamo una nostra convenzione privata per cui, appena compro un libro, due-tre giorni dopo lo si trova almeno col 30% di sconto.
In questo posto, a consumarmi le suole delle scarpe, non esiste più niente. È andata via ogni cosa, come le macchie dai vestiti, e l’unico alone rimasto è da qualche parte nella memoria, ma non si vede troppo. Stare qui ferma, seduta, potrebbe essere qualcosa di eterno, con le gambe di piombo e una sensazione di pietra nel resto del corpo. Sembra impossibile alzarsi dal muretto. Mi rendo conto dopo che sto sorridendo da sola, pensando ad un accento, una frase, una battuta di chissà quando, e rido così senza motivo, e lascio che il funzionario delle FS mi guardi perplesso, e non ho spiegazioni da dare.
Il modo di parlare delle persone mi rapisce, accade spessissimo. Posso sentire un racconto, un richiamo, un’invettiva, mi attira quella virgola di dialetto, il modo di pronunciare una lettera, l’ascesa o la discesa della frase. La parlata, come si dice da me, il regionalismo che rende uniche le persone. Rubo le espressioni in giro e me le conservo gelosa, sottolineo i loro svolazzi e le volute che fanno, le spirali che descrive qualche parola messa insieme, che se si potessero scrivere me le appunterei ma non renderebbero. Seduta sul muretto, continuo a prendermi le frasi degli altri, guardando le nuvole nere che arrivano... meglio qui che altrove, si potrebbe restare per sempre. In mezzo al rosso del laterizi e all’odore di autunno perenne.
Ma siamo in Emilia, e Bologna si affretta a ricordarmelo... soccmel, ho scordato l’OMBRELLO!


"É o projeto da casa, é o corpo na cama,
é o carro emguicado, é a lama é a lama
é um passo, é uma ponte, é um sapo, é uma ra,
é um resto de mato na luz da manha
São as aguas de março fechando o verao,
é a promessa de vida no teu coraçao"

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