sabato 13 settembre 2008

Un poco di zucchero

"Scendi lentamente, portale i miei saluti più sinceri,
batti piano sui vetri e sciogli i dispiaceri
Scendi piano piano, che ti senta arrivare da lontano,
che abbia tempo per riparare, rifiatare"


Vorrei essere di zucchero, bianca ed utile, polverizzata. Non ci sarebbe niente di male. Vorrei essere di zucchero ed uscire sotto la pioggia, per sciogliermi velocemente e senza rumore sotto il battere incessante delle gocce. Sarebbe liberatorio vedere disfarsi ogni singolo atomo delle mie spalle, dei capelli, vedere i piedi già malfermi abbandonarmi del tutto. Persino i miei ricordi, questo sì sarebbe bello, si allontanerebbero assorbiti dall’acqua. Scorrendo fuori dalla mia vista. Alla fine del temporale, sotto un semicerchio a colori, magari arriverebbero i gatti di mia zia a portarmi via per sempre, bevendomi sorso a sorso. Magari sì, ecco: a loro risulterei gradevole. Giù pezzo a pezzo sulla lingua ruvida di un gatto, saltellando senza farmi male sui muscoli della sua bocca.
Allora di me non resterebbero che pochi granelli, qualche minuscola parte del corpo, e se così fosse, vorrei restassero le mani. Quelle che battono sui tasti in tre lingue diverse, e che una volta ti sono affondate nei capelli, le mie piccole mani mai protette dai guanti. Sui mattoncini del piazzale di casa, con le mie dita di zucchero, afferrerei le scarpe sportive di mio padre, i tacchi di mia madre, me ne andrei con loro a scuola o a fare la spesa; mi aggrapperei alla ruota della bici di mia sorella, e il vento mi disperderebbe prima ancora di uscire sulla strada grande. Non saprei comunque darmi l’affetto, lo so già, quel briciolo di tenerezza semplicissima che vado così maldestramente elemosinando. Neanche essendo zucchero saprei essere meno angosciante. Ma mi si potrebbe portare – basterebbe una goccia di me – in un angolo deserto e inutilizzato, dove resterei a guardare le foglie d’ulivo asciugarsi. Ad aspettare una formica che mi scambierebbe per la sua riserva dell’inverno.
Se di me restassero le mani, non potrei più arrivarti in nessun modo. Se mi facessi zucchero, neppure avrei il privilegio di addolcirti il cappuccino. Pensarti da lontano sarebbe più pacifico, del tutto normale aver smesso di conoscerti. Non pensarmi più sarebbe finalmente lecito. Stesa lì sul pavimento, a compiacermi di soddisfare i gatti. A sorridere di essermi sgretolata. Non pensando, in effetti, che a quell’ora potrei essere zucchero filato nelle mani entusiaste di una bambina, e chissà se anche lei lo direbbe, di avere una nuvola in mano… o zucchero a velo su una torta alle mele. Vedi, io mi fermo a molto meno, ma potrebbe diventare una cosa proprio concreta, essere zucchero.
Se di me restassero le mani, senza poter parlare né più scrivere, con sollievo mio prima di tutto, mi piacerebbe chiedere a gesti a un qualcuno là in alto: come si compensa un dolore così onesto? Come ci si salva da un amore? E dalla pioggia?

"Scendi lentamente, portale i miei saluti gentilmente,
lascia che si riposi e non le manchi niente
Scendi piano piano, gocciolando sul viso e sulla mano,
vai dovunque per rinfrescare, dissetare"

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