mercoledì 21 novembre 2007

Nostalgie uno e due

Fa un freddo che non ci si crede, e tutti torniamo ad avere nostalgia. Come se ci fossimo messi d’accordo. Chi sogna la Puglia, chi la Basilicata, la costa sarda, la campagna laziale o toscana, senza eccezioni ad uno ad uno riviaggiamo verso le nostre terre e sentiamo sotto le scarpe il viale di casa, il tiepido intorno. Arriviamo davanti al portoncino di legno scuro, e annusiamo il nostro autunno di foglie secche e di sole sbiadito, di oro rosso, e se anche l’aria punge un po’ sul viso non ci gela i sogni. Muoviamo decisi il piede destro in avanti, per mettere il primo passo oltre la soglia, e già ci sorprende la lieve onda di calore a riceverci accogliente, già ci si gonfia un attimo il petto. La bocca, quella che si sforza di pronunciare bene una sillaba o di non scoppiare in pianto e in riso, quella stessa bocca, allargata per un secondo a salutare. Non pensiamo a nient’altro, nessuno di noi. Un caminetto e una risata, la sento già salire. Le foglie che al vento fanno rumore di pioggia.
Salvo poi aprire gli occhi, e vedere che fuori dalla classe della lezione di spagnolo quasi nevica.

Sabato scorso sono rimasta al caldo, sotto le coperte, dimentica degli impegni. Ma non è colpa di nessuno se tra le mie nostalgie, che sono cento e sono tre, è tornato a farsi vivo l’odore caro di salsedine e ardesia, è passato per un secondo un soffio di buone cose. Il vento di Genova.

Finestra grande, nessuno con me, mi metto in piedi un po’ a fatica ma sto bene. Il pigiama rosa leggero. Mi affaccio respirando verso uno dei meravigliosi tramonti di questa stagione, e vedo qui sotto case verdi e rosa e gialle, auto ferme al semaforo, una ringhiera, il 31 per Brignole. La luce arancione accarezza tutto, non posso sapere quanto è inverno fuori di qui, sembra un marzo perenne, meraviglioso. Ed è così che anch’io lo vedo: a ripetersi sempre diverso, il mare, a impegnarsi, a costruire, il mare ad andare e venire orgoglioso e superbo, messo lì perché mi ricordi che non tutto cambia mentre io sono bloccata in questo limbo per un tempo immisurabile. Non tutto cambia. Il mare a placare il dolore.
Tengo i libri di scuola in un armadietto, insieme alla fisiologica e all’eparina, per essere libera di non preoccuparmene, come se già sapessi che ciò che ho lasciato ormai è perso, ma non volessi ancora avvisare gli altri. I peluche voglio averli un po’ ovunque, anche se imbustati perché non facciano polvere, ma va bene, per una volta che me ne regalano a dozzine, a manciate, in quantità! Sono le sette di sera e dio mio, non ci si crede ai colori che regala questa finestra. Poggio il palmo della mano sul vetro: il freddo di dicembre, non quello della mia febbre ma quello che sentono gli altri (ecco perché portano i cappotti), è incredibile, il freddo di dicembre è ancora freddo come prima...
Ho quattordici anni, nella stanza 5 del tmo. Sono piccola e leggera, non peso a nessuno, gli occhi mi si fanno grandi sulla faccia da quando non ho capelli ma non me ne curo, le ragazze mi guardano come fossi una creatura stupenda. Sono le ultime ore di un giorno che finisce, simile a ieri e spero uguale a domani; si sta così bene adesso, cala la luce a bagnare la polvere sul libro abbandonato sul comodino e sulla porta che – ci scommetto – tra pochissimo qualcuno spalancherà. Come fanno sempre loro, le ragazze, in tuta verde a maniche corte, dopo aver scalato i viali su un motorino sgangherato, con quella faccia un po’ così che abbiamo noi che abbiamo visto Genova... verranno a parlare della cena e a raccontarmi del tempo, a descrivermi come si vive ancora e bene, scese le scale di questo piano rialzato. Sento il fresco della corrente che mi passa sotto la pelle.
Non piove da giorni e la stomatite sta passando, so che è uno stato di grazia e so, respirando così bene, che domattina arriverà come sempre, col suo giro delle otto, con il letto da rifare, Daniela che combinerà un altro casino, Elda Manrica e Sonia, poi Cri Fulvia e Marco, e le visite dei medici a cui spiegare. Domattina arriverà come sempre. Ma quella spiacevole sensazione di cose da fare non mi appartiene ora, alle sette di sera, davanti a questa finestra, poco prima che qualcuno entri a parlare con me di qualunque cosa.
Perché tutto è così limpido, e nulla potrebbe andar meglio.

Il vento di Genova.
Qui che siamo a mezza Italia invece, ci dispiace quasi sempre tornare alle nostre stanze da soli, infagottati nei giubbotti, e un po’ per tutti ogni scusa è buona per fermarsi in giro e continuare a camminarsi dietro, a chiacchierare. Un pomeriggio alla fine passa piacevolmente, e non dovrebbe mai finire, se per una volta ad una lezione di spagnolo si preferisce coltivare una passione.
Ci prenderanno per matte. Ma restiamo qui sedute a ridere, due studentesse, una poesia di Góngora, e una cioccolata calda.





“Finirà questa neve
questo inverno sarà breve
e il coraggio
magari verrà”



PS: 16 novembre, sei anni. Grazie, amico mio.

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