domenica 9 dicembre 2007

Io nessuno e loro tutti (-Vie di Bologna-)

"Danzandoti nella mente
sfiorando tutta la gente
a volte sedendoti accanto"


Bologna è la pace.
So che è difficile trovare un luogo meno chiassoso e frequentato, meno densamente popolato di persone e rumori, ma non c’è nulla che acquieti le mie guerre come la grandezza di quelle strade, il loro colore conosciuto. Quei palazzi enormi che mi stancano solo a vederli, che mi costringono a tenere gli occhi bassi e guardarmi dritto davanti.
Scesa dal primo regionale che riesco a prendere, quella che in partenza era una fuga diventa una passeggiata: l’aria che mi sbatte sul giubbotto invernale mi impedisce di sentire, non so più cosa cerco ma cammino pacificata, col passo sereno che raramente mi riesce, anche volendo. Non importa che ore siano, non importa quando avrò il treno del ritorno. Se Bologna mi accoglie, se è la stessa dell’ultima volta, mi aggrapperò al suo tumulto pregando che ancora per un giorno si riveli guaritore, il suo chiasso che non sento, perché Bologna mi chiude le orecchie. Forse mi salva quell’anonimato temporaneo, la sensazione che nessuno mi veda e mi giudichi, mi salva guardare in faccia la gente senza voler vedere niente. Mi solleva il marrone dei suoi mattoni, le tegole rosse, rosso scuro come se ci fossero sempre state. Sotto ogni pioggia, resistenti ad ogni vento, sprezzanti dell’estate, della nebbia, dell’incoscienza di tutti, gente di corsa, tutti che vanno oltre, camminano a testa bassa, tutti passi lenti senza fretta, io insieme a loro, io incosciente come loro, io nessuno e loro tutti. Non conta la mia vita, a Bologna. Corro davanti all’autobus a semaforo rosso. Nessun pericolo per me.

Via San Vitale era tiepida e non troppo affollata, era settembre 2001, facevo iniezioni ogni sera. Dimenticai la macchina fotografica, lasciai a casa i primi giorni di scuola e i quaderni nuovi, ma mai, mai più ho perso quella cartolina in bianco e nero, regalo di un negoziante da commuoversi dal ridere: un vecchio bolognese spassosissimo, chiuso in una stanza piena di poster, che ora chiamo lo zio Lenin, sì, diceva così lui della foto che aveva appesa al muro, “ecco lo zio Lenin”. E mai più ho perso né dimenticato quelle cartoline prese con ogni molecola del cuore, in Piazza Grande, quelle che erano i suoi colori autunnali ma lei non lo sapeva, e forse glielo scrissi, ma non le importava. Che ci avessi pensato. Tutto quel sentirsi vinta, chiuso in una foto di alberi rossi e gialli. Mi mancava tanto, nella mia giacca a vento. Via San Vitale odorava di polvere e sole lontano.
Ricordo poi Via Indipendenza percorsa in un quarto d’ora, con le cuffie nascoste nella camicia, mi ricordo mossa dall’impazienza, dall’incredulità e da un uomo che solo, tra mille canzoni, scelse di cantare. La ricordo speranza. La ricordo sicurezza. E la musica, tutta la musica di quindici minuti.

Fa parte delle mie piccole pigrizie o delle bontà che mi concedo, prendere l’ascensore per andare dal binario a livello strada di ritorno alla stazione di Forlì, improvvisamente stanca di piegare le ginocchia per venti gradini. Arrivo a casa in un nonnulla ed è tutto finito... eppure no.
Via San Vitale è quattordici anni, e tutto ciò che non sapevo. E’ il mio sorriso ragazzino nel negozietto dello zio Lenin.
Piazza Grande è il gioco delle pulci che non si trovava, e un quadro ad acquerello nel salotto di mia zia.
Via Indipendenza è passeggiare contro il tempo. Con il tempo che non ho.


"Dovunque cada l’alba sulla mia strada
senza catene, vi andremo insieme"

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