domenica 13 gennaio 2008

Stelle cadenti e stelle polari (-a Dawson-)

L’ultima volta che ho scritto su di te facevo il secondo superiore, e presi otto e mezzo. Credo di aver messo nel tema una serie di stupidaggini romantiche, al mio solito, e pochi giorni dopo al telefono non sapevo neanche raccontartele (perché io al telefono non sapevo parlare, ricordi?), ma evidentemente alla prof andavano bene anche quelle.
Avrei voluto scriverti, in questi giorni, una lettera bellissima, di quelle che si rileggono mille volte e si sgualciscono a furia di portarle con sé, di aprirle e richiuderle. Avrei voluto tirar fuori la grafia migliore e la carta arancione, non far cadere neanche una frase nella banalità, regalartela con un bacio perché la tenessi in valigia, sull’aereo del 18 gennaio. Se bastasse l’intenzione, quella lettera ce l’avrei pronta in mano da tempo, ma io non sono capace di una cosa così bella. Butto solo giù qualche pensiero, che è il mio saluto per te fino a nuovo ordine.

La mia migliore amica non è mai esistita, non ho avuto questa fortuna. Ne ho avuta una molto più grande, in una pineta di Castellaneta Marina a luglio di dieci anni fa: uno scambio di indirizzi per gioco, perché ti era presa la fissa degli “amici di penna”, e cosa potevo saperne io? Che dopo quel telescopio c'era altro...
Non mi metto a raccontare tutto né a definirti nella mia vita, non renderei mai quello che è il nostro rapporto, quello che è stato, quello che è tornato ad essere, quello che era anche quando sembrava mancare. Sapresti farlo, tu, attore dei miei stivali? Linguaccia
Dawson, è stato difficile averti vicino. Ci siamo “scritti” crescere (vedere ci vediamo sempre poco, troppo poco!), ci siamo spaventati: non ho neanche bisogno di rileggere le lettere per rendermi conto di quanto ci siamo scambiati, spiegati, offesi, preoccupati. Quanto spesso ci siamo mancati. E per questo poco tempo fa, quando ho pensato di non conoscerti più e vedevo in te uno sconosciuto, ho avuto paura... non sopportavo di averti seduto accanto e non sapere più a cosa stessi pensando, cosa volessi fare e come ti sentissi. Peggio: c’era una sorta di continua sfida nello sguardo, e rabbia, per non capire, per non riuscire a tirare il fiato e parlare. Quanto devo averti irritato, quanto ero arrabbiata io! E quanto sollevata poi, e quanto tempo ci è voluto, per tornare sulle stesse corde!
Abbiamo parlato delle più svariate cose (te lo ricordi il periodo Carmen?) e ovviamente abbiamo dimenticato le più importanti. Ma anche a distanza di tempo le parole sono tornate, così che non c’è stato bisogno dei riassunti delle puntate precedenti, per quanto straordinari fossero i cambiamenti delle nostre vite: la stessa cosa è capitata ad entrambi nello stesso momento, abbiamo potuto solo restare lì sorpresi e perderci nei dettagli, svuotare i segreti, darci entusiasmo a vicenda. Quando non ne ho avuta più, di energia positiva, il pensiero di averti a due passi è stato una sorta di paracadute. E credimi, questo mi mancherà, adesso più che mai.
Mi hai giudicato raramente e capito quasi sempre, mi hai lasciata piangere a volte e fatto smettere altre, mostrato maschere, aspettata. Mi hai presa in giro, anche, sei stato insopportabile, hai ripreso a fumare e mi hai lasciata da parte. L’unico a cui ho detto delle cose, il primo per alcune, capace di ignorarmi o di darmi un’importanza che non spero mai. E poi hai avuto pazienza, molta. Quando non ti parlavo, quando una lettera si faceva aspettare mesi, da Genova; quando hai sopportato i complessi adolescenziali più paranoici della storia, le gelosie mie ed altrui; quando mi hai accompagnata alla fermata di un pullman che mi portava da qualcun altro.
Siamo legati da fili di parole, a inchiostro nero sul primo foglio trovato in giro oppure regalate a profusione dalla voce raccontando, commentando, ridendo della qualunque: il nostro parlare è parlare per dire, che non cerca niente e raramente chiede, è solo scambiarsi le rispettive vite e vedere cosa ne vien fuori. Come sul terrazzo di casa mia, in estati diverse, cercando sempre per finta una stella cadente: “Cosa sai tu? Cos’hai capito?” “Non so niente, ma vedo che c’è qualcosa e non me ne parli”. Non hai dato consigli se non sapevi darli, né li hai chiesti, e se si può definire ricchezza la conoscenza di una persona, la mia lo è sempre quando ho a che fare con te.
Molto di quanto vedo in te, vorrei averlo io. Perché ammiro la persona che sei.

A questo punto tu diresti: “Mena Lù, non è che sto partendo in guerra!”… ahò, ma volevi andartene così impunito? Fammele fà ‘ste cose ogni tanto, sennò mi sento inutile! ... Non riesco a scrivere niente di meglio, non adesso, e tu come sempre avrai pazienza e aspetterai il ritorno delle parole. Ma credo che il messaggio sia chiaro: Dawson Leery, con la presente ti ordino di restare nella mia vita e non azzardarti a sparire non appena diventi famoso! Ché io, sappilo, ho ancora delle lettere assurde in buste assurde (stelle polari e via dicendo!) con cui posso agevolmente ricattarti!
Ti voglio bene. Ti voglio bene. Ti voglio bene.
Buon viaggio, ci vediamo a Barça! Bacio.

“Era un uomo così
ma con delle possibilità
… lo so, io”

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