venerdì 20 luglio 2007

Strane nuvole

Lei arriva con la notte, come il desiderio di un bacio. Questo non mi sorprende, perché io e la notte abbiamo sempre parlato e raramente il sonno è arrivato come e quando avrebbe dovuto. La luce accesa dà fastidio e non posso leggere all’infinito, sono costretta a restare ad occhi spalancati, con la testa sul cuscino, a guardare con stupore le stelle sulla mensola. Il mio cielo rassicurante, se è una notte di pensieri: stelle fosforescenti di via San Vitale. Così inavvertitamente mi spoglio ad una ad una di tutte le mie inibizioni, i miei desideri più nascosti prendono forme, colori, voci, consistenza, visioni di cui mi vergogno, da sveglia sogni bellissimi di posti e persone che fantastico di poter vedere, toccare, abbracciare. Accade allora, nel momento in cui mi allontano dalla terra, nei minuti che concedo ai miei segreti, che mi dimentico del dolore.
Con intensità forte o lieve, di mille forme, con milioni di cause insieme o senza alcun motivo: posso ancora sopportarne, dolore? Il dolore che ferisce, quello che unisce, quello che sorprende e quello che passa: posso ancora portarne i segni? Non so se mi è rimasto tempo abbastanza, volontà, o semplicemente spazio perché lui possa arrivare. Non lo crederei. Eppure arriva.
Sono così piena d’amore, ho chi mi colma interamente di attenzioni e parole, ho chi pensa, ogni tanto, che io esisto, ho chi rende ancora più dolce la musica più dolce del mondo, e lo fa sotto i miei occhi e per me. Ma dolore e amore giocano quasi ad armi pari, e quando l’uno prevale l’altro si fa sentire, anche piano, anche delicatamente, a stabilire sempre e comunque la propria presenza.
E’ che forse non avrei amore se non sentissi ogni tanto, piccola in qualche angolo di me, una fitta di malinconia. E’ un po’ come un tributo da versare, come il ricordo che non sempre e non tutto è stato così facile, che dietro una giornata leggera se ne nasconde una di impegni e doveri e sofferenze con cui confrontarsi. Quindi, l’accetto come viene, sapendo che sarebbe più pericoloso se vivessi ogni giorno in nuvole di zucchero. L’accetto quasi sorridendo.
Perché si fa dimenticare, il dolore, per lungo tempo, finge di lasciare solo i ricordi migliori, si mette la maschera più bella che ha perché possiamo dubitare di averlo davvero attraversato e pensare che portiamo con noi solo i momenti di festa. Ma è una maschera, appunto: è un trucco che presto o tardi finisce. E lui torna. Torna quella sensazione di bocca arsa e ferita, di nausea, torna la fitta che ti riporta ad un’altra, torna la consapevolezza e la lieve percezione del cadere senza saper rialzarsi, cadere e cadere e restare a terra impotenti piangere senza che per questo le gambe si muovano lasciar cadere il telefono e provarci e dover per forza chiedere aiuto fingere che non sia successo nulla e tornare a parlare perché te lo dovevi aspettare e ti avevano avvisata e come hai fatto a dimenticartelo?
Va bene, così. Va benissimo. Anche perché affrontato il momento di ogni giorno che mi riporta al dolore, ed è quasi un pugnale dolce a volte, posso tornare a pensare a quello che più amo. A quanto parliamo di notte, io e lei. Al libro che ho appena iniziato e appena finito e vorrei regalare al mondo intero. Al concerto, ai frollini al cioccolato, al tempo che non finisce.
Alla cattedrale di Saint Paul nel 1910.
Strane nuvole, quest’oggi. Strane nuvole davvero.

"E come cambia poco una sola voce
nel coro del vento
Ci s'inginocchia su questo sagrato immenso
dell'altipiano barocco d'oriente
Per orizzonte stelle basse
Per orizzonte stelle basse
oppure... niente"

Nessun commento:

Posta un commento