domenica 8 luglio 2007

Ecriture automatique

Avevo intenzione ovviamente di non far nulla per un certo tempo. Dopo tanto impegno e lavoro, la prima cosa che ti viene da desiderare è l’ozio o il sonno, insomma niente obblighi per un po’. Affiggere un bel cartello con su scritto “Ferie dal pensiero”, e non rispondere alle domande né correre troppo avanti con la mente, proprio ragionare in estate. “Ferie dal pensiero”.
È poi la cosa più normale che ci si trovi soli… mi sento una sperduta a girare per casa con le mani in mano, vorrei che ci fosse ancora tantissimo disordine da rimettere a posto, e potermi cullare come prima nella soddisfazione delle cose che so. Potrei anche sedermi, a un certo punto, e pensare di fare dei bilanci. Tornare indietro con i ricordi e alla luce di questo sole di luglio cercare di capire cosa mi dicono, dar loro un nome per poterli chiamare quando li cerco, metterci vicino un segno… è che forse non sono ancora pronta per farlo, temo quello a cui potrei arrivare, temo di sgualcire col mio fare maldestro le cose più belle e delicate che ho in me.
Eppure non sono io che decido dove viaggiare: mi ritrovo a pensare, seduta in macchina, a quello che ho imparato. Canova, certo. Joyce, certo. Seneca, certo. E poi.
La scuola è stata la mia vita sociale forzata, quando avrei preferito non conoscere nessun altro, quando avevo chiara in me la consapevolezza di dovermi ricostruire lentamente e da sola. A volte, per questo, penso mi abbia salvata. È stata la consuetudine grigia a cui mi sono abituata con fatica ma con volontà, la consuetudine blu a cui mi sono aggrappata con forza quando tutto intorno sembrava crollare, la consuetudine arancione del ridere e del parlare di quest’anno, così splendidamente nuovo. Sono passata dal dare tutto quanto avevo allo studio dei primi anni, in cui studiare mi sembrava davvero una delle poche cose che riuscivo a fare bene, al detestare numeri e persone con la voglia assoluta di andarmene lontano, quando nulla più è stato abbastanza e ogni verifica mi sembrava una sadica punizione. Infine l’amore, la gente, le scoperte dell’ultimo anno, amare perché brevi, meravigliose perché importanti. Non so se ho mai raggiunto un equilibrio in questo, così come in tutte le mie cose... Ma quanto so ora è che sono cambiata, che il mio è stato un crescere difficile ma costante e che in questo crescere la scuola c’è stata sempre.
Ho imparato la disponibilità, che prima non avevo assolutamente: quella di spiegare e rispiegare le stesse cose a più persone, quella di passare gli appunti o le versioni a tutta la classe, quella di prestare le cose e di prendermi le responsabilità. Non che adesso sia la persona più paziente del mondo, ché per quello ci vorrebbe ben altro, ma sono così diversa dalla ragazzina scontrosa e irascibile di cinque anni fa! Così inaspettatamente diversa!
Poi penso che la scuola sia una situazione del tutto anomala rispetto al resto del mondo. Insegna la complicità, la solidarietà, la simpatia, la comprensione. Quando vedi una persona piangere, o ridi con lei, quando la incontri ogni singolo giorno che Dio manda in terra sempre lì al suo posto, quando sai cosa le piace e cosa proprio non capisce, condividi più di quanto tu non ammetta, sei “coinvolto” tuo malgrado: non riesci a pensare di farle del male, né di rifiutarle un favore, un suggerimento, un sostegno quando ne ha bisogno. I compagni di classe diventano famiglia più della famiglia stessa, per la loro presenza costante, per la rete di affetti e di semplici sguardi che intessi quotidianamente e senza rendertene conto.
Ecco, ero certa che non avrei resistito alla tentazione di fare bilanci, alla fine! Così di getto che neanche mi fermo a rileggere. In effetti, dopo aver pensato tanto in fretta, non mi resta che infilare il pigiama e andare a letto, fingendo di poter tornare al mio proposito iniziale: “Ferie dal pensiero”

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