domenica 9 settembre 2007

Perché viaggiare non è solamente partire e tornare...

[Comptine d’une autre été – l’après midi, Yann Tiersen]

Abbiamo da poco passato Ancona, e sono in questo scompartimento da un’eternità. Forse due. Ho messo le cuffie solo per darmi un aspetto, in qualche modo, nel momento in cui mi sono accorta che da minuti ed ore fissavo il finestrino restando immobile, ricordandomi solo ogni tanto di respirare. Lentamente, con pazienza, la musica mi avvolge e mi riporta al calore della realtà, muovo le gambe rattrappite in un angolo, ho il gelo nelle scarpe, mi stropiccio gli occhi ed è come se la mia mente gradualmente tornasse ad aprirsi. Ho pensato, pensato tanto, ricordato, rimpianto, adesso ascolto.
Le mie dita cominciano da sole a seguire il pianoforte, il sorriso ad aprirsi, i colori a farsi nitidi: mi sembra solo ora, per la prima volta dall’inizio del mio ritorno, di vedere davvero al di là del vetro, di uscire dal baratro di me stessa ed arrivare a guardare fuori… quello che c’è è la meraviglia.
Sembra che il treno viaggi su una distesa d’acqua, di un celeste intenso ma non minaccioso, placata, interminabile, serena: i binari corrono sul mare. Laggiù in fondo, una linea retta perfetta divide questa pace mostruosa e sconfinata da un cielo frastagliato di nuvole, rosa e arancio a tratti e poi ancora indeciso e scuro, ma senza mettere paura. Sono nuvole piatte, come una coperta, sarà una notte fredda, ma silenziosa. Davanti a tutto questo mi si spalanca lo sguardo, mi incanto nello stupore come se aprendo il più possibile gli occhi potessi farcela entrare, tutta quella bellezza, e trattenerla per sempre, e ritrovarla a volte, non perderla più.


Trieste, Bologna, Forlì. Sembra sia stato un secolo.

Sono scesa dall’espresso dopo 12 ore di viaggio con due ragazzi una madre e un gatto, e una città sconosciuta mi è sembrata subito casa mia. Mi è sembrato di essere libera di colpo, per un tempo immenso, di poter finalmente provare a briglia sciolta i sentimenti che volevo, provarli sul viso. Al centro della stazione, come soffitto, c’era una piramide di vetro e legno: mi sono seduta lì sotto e come un piccolo miracolo di accoglienza mi volavano sulla testa gabbiani, uno dopo l’altro, componendo parabole lente, ed erano lì da sempre, loro. Sì, anch’io.
Trieste ho deciso di vederla se e quando volevo. Fare cose assurde, come mettermi a leggere “Cent’anni di solitudine” su una panchina in un parco, solo perché c’era un buon odore e non mi andava di camminare… Sono uscita poi di pomeriggio, con i singhiozzi ancora lievi in gola e lacrime appena asciugate sulle guance. Una leggerezza sul petto e la voglia di vedere il mare… confusa, di una strana allegria, ho passeggiato guardando e sentendo ogni cosa, la piazza i palazzi le strade la stazione, colmando il vuoto, incurante di tutto. Ma quello che di più bello Trieste mi ha regalato è stato il tramonto meraviglioso che ho visto spuntare quando già volevo andar via. Mi sono voltata un attimo, ed eccolo: forte, magnifico, un sole rosso accarezzava tutto penetrando il grigio con il suo calore, riempiendo il freddo d’arancio, aprendomi il cuore! Il colore di quei minuti lunghissimi è ciò che mi porto dentro dall’altro estremo d’Italia, ed è moltissimo. Per com’ero, è moltissimo.

Bologna, niente di più splendido. Non trovo parole che descrivano, non le cerco. Suoni, sapori, odori, colori, emozioni, risate, non so come renderli… niente di più splendido, solo questo.

Forlì è stato un passaggio veloce, solo per farsi un po’ male le mani portando la valigia pesante e accarezzare un gatto nero, senza che mi sia guardata troppo intorno. Un passaggio, ma bello, leggero, divertente. Benissimo così.


Dopo quasi una settimana mi ritrovo nuovamente in treno, passata Ancona, con lo sguardo invaso dalla visione del mare, le mani ancora piccole, la fronte divisa in due, il cuore stracolmo. E sulle labbra il sorriso sorpreso e felice di pensare che io sono, ogni tanto, per te, anche qualcosa di bello.

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