giovedì 17 maggio 2007

Attese

L’aspettava da minuti lunghissimi. Con una scusa, con una giustificazione che sembrava valida persino a lei, credendo di ingannare sé stessa e di non sapere, in realtà, il motivo per cui non si muoveva. Oh, certo, lo sapeva, ma perché accusarsi così violentemente? Aspettava.
Dicendo di dover ripararsi dal freddo (ma con la giacca piegata sul braccio), guardava inquieta su per le scale, e poi all’angolo destro, e poi di fronte a sé, sperando di vederla arrivare… Nel frattempo la sua mente correva. Correva a casa. Correva al giorno dopo. Correva alle ore precedenti e, come sempre, alle sue fantasticherie. Non voleva pensare, con quel mal di testa, non doveva pensare, né ascoltare musica, né parlare, né guardarsi negli occhi. Aspettare, ancora qualche minuto… ti prego, esci. Ti prego, arriva.
Arrivò invece il secondo autobus, l’ultimo possibile per tornare a casa, e la sua stanchezza le impose di salire, di sedersi, di poggiare tutto il peso che si portava dietro. Finalmente riposo, pace, e fino a casa basta con tutto… guardò fuori dal finestrino, sollevata. E lì la vide.
Mentre l’autobus svoltava veloce, la vide uscire, guardare il sole, sorridere, poi camminare a passo svelto.
L’aveva aspettata per minuti lunghissimi. Ma forse, andava meglio così. Bastava quello.
Here she came now.

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