mercoledì 15 agosto 2007

Fino a poterci pensare senza affanni

Capita un giorno così che la cerchi, la cerchi con un certo autolesionismo, una canzone disperata. Una di quelle di una tristezza inconsolabile e che non si mette in discussione, che ti farebbero scoppiare a piangere se fossi anche solo un po’ giù di tuo… una di quelle canzoni che vanno bene in un momento come questo, quando anche solo l’accenno di un ritmo allegro infastidisce: stasera è arrivata lei. Che, se vogliamo dirlo, è un pianto ogni volta.

Baia senza vento possiede una bellezza intatta e folgorante, di quelle che se ti attraversano una volta lasciano qualcosa, come un graffio, e non si fanno dimenticare mai.
E’ una canzone del freddo, di un mattino gelido davanti al mare (qualunque mare ma sai che è quello) con una porta chiusa alle spalle e la sensazione che quel vento che ti sferza ti stia portando via qualcosa senza che tu possa reagire. E’ un finale, è un indiscusso addio. Le barche a remi lasciano la riva e c’è nebbia, non ci si vede, un inverno che uccide ad ogni passo e tu chiusa nel cappotto scuro guardi un punto imprecisato, il ghiaccio nella pelle, non è che guardi in realtà, stai piangendo perché sei da sola, perché non ritorna. Piangi con lo sguardo lontano. E’ una strada sconnessa e cattiva, che si inumidisce per farti scivolare, e una volta che sei a terra di nuovo non puoi far altro che restarci. E ci resti, perché sai che te lo meriti e che in fondo di rialzarti non ne vale più la pena.
Un amore che avresti voluto proteggere, accarezzare, riscaldare, e che invece è scappato dalle tue mani andando a morire altrove, scegliendo per sua colpa e per sua stessa condanna un freddo che non perdona nessuno. Preferendo quel freddo a te, che resti sconfitta. E’ un peso enorme che ti crolla addosso, è la colpa di aver dischiuso le mani quel tanto che è bastato perché il tuo amore fuggisse, e invece tu volevi solo guardarlo, solo sentire la sua luce calda sul viso, niente di più. Guardi i palmi immensi delle tue mani, vuoti.

“Vedi le strade di qui un tempo saranno state pece e sassi, e il vociare della gente copriva il silenzio del mare, copriva…”

E’ stato allora che tutto si è fermato e nessuna voce è stata più in grado di raggiungerti, e l’aria immobile ti ha fatto sentire un silenzio così pieno da averne un terrore assoluto. Un terrore che non aveva motivo, perché non avevi niente in fondo da perdere, ma che esisteva nella sua intensità spaventosa, e che ti ha fatto sollevare gli occhi per un istante solo, con un nodo alla gola.

E’ arrivato il mare, dopo. Ti sei sentita respirare. Soprattutto, l’hai sentito: andare e venire, paziente, presente, sempre gelido ma sfumato di rosso, il rosso vivo e commovente che ti ha fatto piangere ancora, questa volta lacrime calde. Esiste un’eternità sicura, nelle onde che senti, da riempire l’aria e il cuore. Anche se non le guardi.
Vorresti gridare ancora, sì, è probabile che lo farai. Cullerai la tua disperazione fino allo strazio e poi la prenderai a schiaffi e urlerai con tutta la voce il male che ti ha fatto. Ma nella tua voce, quella stessa voce con cui gridi, presto si insinuerà la malinconia, che è delle cose lievi, dolorose, amare… ma passate. E ancora una volta, stupidamente, sorridendo come se l’avessi sempre saputo, dirai a te stessa che il dolore passerà. Come finisce una canzone.


“Guardala invece adesso
questa baia senza vento”

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