martedì 21 agosto 2007

Santu Paulu meu de le tarante (Parte I)

Una crede di andare tre o quattro giorni nel Salento con le cugine per divertirsi e far casino. E questo succede!
Succede, ma non solo :)
Una crede di aver visto un po’ di tutto ma poi si ritrova a passare una notte intera a girovagare per una piazza di gente matta che si riunisce in ronde e suona e canta e balla come invasata per ore infinite, senza limiti di sorta purché un limite ci sia. La notte della taranta è il vedere dimenticate le passioni, le frustrazioni, le attese della gente, che sembra aver fermato il mondo per 12 ore e aver scelto di essere tutto, di volere tutto, di amare tutto per sempre. Perché la pizzica è micidiale, la pizzica non lascia scampo, è una specie di trance del desiderio e della follia, un perdersi dei sensi e della ragione in movimenti lenti e veloci e poi lenti e veloci ancora… e non la si può descrivere, né capire, solo guardare estasiati o danzare con rapimento!
Al suono di mille tamburi, lontani fra loro ma tutti coordinati come in un’intesa misteriosa, si sono alternate sotto i miei occhi coppie di ogni tipo: due fidanzati, due sconosciuti, un ragazzo e una ragazza, un uomo e una donna, due ragazze… ognuno con qualcosa negli occhi, senza inibizioni, ogni coppia che usciva dalla ronda in modo diverso… chi salutandosi e mai più rivedendosi, chi mano nella mano, chi con un bacio già sulle labbra, chi con un semplice sguardo che è un “alla prossima e non scappare”… tutto un immenso delirio festante giustificato solo da quella musica, ossessiva, esplosa, ripetuta, irrefrenabile!
Passano otto ore che sembra una sola, e da lontano vedo che il cielo sta poco a poco sfumando il suo blu intenso e impenetrabile in un celeste chiaro: sta per albeggiare, penso. E invece no. Scopro così che esiste un momento, lunghissimo e quasi triste, fatto di tantissimi minuti in cui il sole esita ad arrivare, come se volesse lasciare ancora un po’ di posto a quella gente dimentica di sé. E’ come se a un tempo non riuscisse a non farsi intravedere ma non volesse mai sorgere. In questo spazio indefinito in cui restiamo, la piazza si svuota e mi passa accanto un parroco giovanissimo, che avrà la mia età e sembra uscito da una Puglia di cinquant’anni fa… qualche rintocco di campane, arrivano ad una ad una le famiglie del paese, è una strana processione: anziani e ragazzi sottobraccio, vestiti per bene per la messa di San Rocco, è ancora prestissimo quando già si sente in piazza il primo osanna che esce dall’altoparlante. E lì abbandonati a noi stessi non siamo ancora stanchi di ballare: l’ultima ronda, ancora una volta, per favore! Danzano i coltelli con movimenti ampi ed energici, danzano di nuovo coppie di ragazzi, e cantiamo ormai tutti, anche solo per dire ciao… Il sole arriva, lo sentiamo, si vede chiara adesso la sua luce.
Lasciamo la piazza di Torre Paduli che sono le otto passate, senza neanche la forza di camminare, e voltandomi prima di allontanarmi vedo ragazzi esausti, lì seduti, con i tamburelli fra le mani, in silenzio. Sorrido. Vino rosso versato per la strada, come sangue allegro, come il segno tangibile di quel dolore e di quella frustrazione che, ancora una volta, la pizzica è riuscita a farci disimparare. Anche solo per qualche ora di autorizzata follia!

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